Il mio canto libero – L’art. 8 è vivo e lotta insieme a noi!

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Successivamente alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della legge di conversione del decreto “dignità”, Il Sole 24 Ore ha ospitato tre interventi di autorevoli rappresentanti dell’accademia, della professione forense e della consulenza del lavoro indicanti all’unisono la possibilità di adattare la nuova disciplina dei contratti a termine mediante accordi aziendali o territoriali in base all’art.8 del DL 138/11 convertito in L 148/11. Non è stata infatti casuale la sopravvivenza di questa norma “speciale” alle regolazioni di carattere generale prodottesi successivamente, dalla legge “Fornero” al d.lgs. 81/15, allo stesso decreto che ha reintrodotto alcune causali per i rapporti temporanei.

 

Il legislatore è parso infatti consapevole della necessità di mantenere una valvola di sfogo per le situazioni meritevoli di una regolazione specifica. Una intesa è addirittura già stata sottoscritta dalle parti di un noto ente lirico sinfonico per spostare la data di entrata in vigore delle recentissime norme con lo scopo di salvaguardare i livelli occupazionali in un contesto in cui le nuove rigidità li avrebbero potuti compromettere. L’art.8 è stato introdotto quasi di soppiatto nella manovra estiva del 2011 per corrispondere alle richieste formalizzate dalla Banca Centrale Europea e per dare certa applicazione a tutti i lavoratori degli stabilimenti di Pomigliano e Mirafiori degli accordi aziendali che ne hanno consentito la sopravvivenza.

 

Accolta con freddezza dalla dottrina e da alcune organizzazioni di rappresentanza come un possibile grimaldello nel tradizionale assetto regolatorio uniforme del lavoro, la norma è in realtà espressione delle intuizioni espresse dieci anni prima da Marco Biagi quando ipotizzò un pavimento di regole inderogabili sul quale, in prossimità, le parti sociali avrebbero potuto produrre deroghe a leggi e contratti nazionali. La stessa Corte Costituzionale ebbe presto modo di occuparsene su ricorso della Regione Toscana confermando il suo carattere “speciale” attraverso la precisazione che materie e finalità avrebbero dovuto considerarsi tassativamente elencate nel dispositivo di legge e, come tali, non estensibili. Molti accordi sono stati poi silenziosamente sottoscritti per motivi “difensivi” (mantenimento dell’occupazione o emersione del sommerso) oppure “espansivi” (incremento dell’occupazione o migliore qualità dei rapporti di lavoro). Perfino coloro che più furono critici non hanno considerato l’art.8 tra le materie oggetto di iniziativa referendaria e ne hanno utilizzato la capacità derogatoria per ottenere in un noto accordo il ripristino della disciplina previgente sui licenziamenti per i nuovi assunti. E tutte queste intese si sono concretamente rivelate “in melius” per i lavoratori. Ora, gli evidenti cambiamenti intervenuti nel mercato del lavoro e le ulteriori prospettive di trasformazione degli assetti produttivi, incoraggiano evidentemente l’esigenza di relazioni adattive di prossimità rispetto alla pretesa di regole uniformi.

 

Il “diritto vivente”, di cui parlava Gino Giugni, tende a prevalere sul formalismo giuridico anche perché le nuove tecnologie, a partire dalla blockchain, favoriranno sempre più la propensione delle parti negoziali a cercare direttamente accordi “intelligenti”, duttili, dinamici, anche senza la necessità di mediatori terzi. E le organizzazioni sociali rischiano l’esclusione se si fanno autoreferenziali mentre possono svolgere un ruolo fondamentale se accompagnano diffusamente la effettività delle nuove tutele come quella relativa all’apprendimento permanente nelle continue transizioni professionali. Insomma, parafrasando un noto slogan scritto sui muri del ‘68, esse potrebbero ben dire l’art.8 “è vivo e lotta insieme a noi”.

 

Maurizio Sacconi
Presidente Associazione Amici di Marco Biagi
@MaurizioSacconi

 

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