Il lavoro stagionale tra legge e contrattazione collettiva

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Bollettino ADAPT 29 luglio 2019, n. 29

 

Il verbale d’intesa in tema di lavoro stagionale sottoscritto in data 27 maggio 2019 da Confesercenti e Filcams CGIL, Fisascat CISL, UILTucs offre l’opportunità di riflettere sul ruolo esercitato dalla contrattazione collettiva in tale materia.

In particolare, le parti firmatarie dichiarano che «a seguito dell’entrata in vigore del decreto legge n. 87/2018 (c.d. Decreto Dignità), convertito nella legge n. 96/2018, si riconferma la validità e piena applicabilità dell’art. 66 bis del CCNL Terziario […] quale strumento idoneo per soddisfare esigenze di ampliamento degli organici oltre i limiti percentuali e di durata, nonché […] per il superamento dell’obbligo di causale per proroghe o rinnovi».

L’articolo in questione, introdotto in occasione del rinnovo del CCNL Terziario Distribuzione Servizi del 12 luglio 2016 e rubricato «Contratti a tempo determinato in località turistiche», dispone:

 

«Le parti, preso atto che in determinate località a prevalente vocazione turistica le aziende che applicano il presente CCNL, pur non esercitando attività a carattere stagionale secondo quanto previsto dall’elenco allegato al DPR 7 ottobre 1963, n. 1525 e successive modificazioni, necessitano di gestire picchi di lavoro intensificati in determinati periodi dell’anno, concordano che i contratti a tempo determinato conclusi per gestire detti picchi di lavoro siano riconducibili a ragioni di stagionalità, pertanto esclusi da limitazioni quantitative […].

Le parti concordano che l’individuazione delle località a prevalente vocazione turistica, ove si collocano le suddette assunzioni a tempo determinato, sia definita dalle organizzazioni territoriali aderenti alle parti stipulanti il presente CCNL, con apposito accordo.»

 

A riguardo, merita sottolineare la scelta di individuare quali elementi essenziali della stagionalità l’applicazione da parte del datore di lavoro di un contratto collettivo nazionale di un determinato settore economico ed il verificarsi di condizioni eccezionali. La tecnica negoziale adottata, infatti, consente di applicare la disciplina del lavoro stagionale ad una serie di prestazioni di lavoro non riconducibili all’elencazione oramai anacronistica del d.p.r. 7 ottobre 1963, n. 1525.

 

La stagionalità nell’ambito della disciplina sul contratto a termine

 

Il d.lgs. 15 giugno 2015, così come modificato dal c.d. Decreto Dignità (d.l. 12 luglio 2018, n. 87 convertito in l. 9 agosto 2018, n. 96), esclude come noto l’assoggettamento delle attività stagionali ai vincoli previsti per il contratto a termine in materia di durata, interruzione minima nella successione di più contratti, causalità e percentuale di assunzioni a tempo determinato (artt. 19, c. 2; 21, cc. 01-2; 23, c. 2, lett. c).

Ai fini della materia oggetto di trattazione, suscita particolare interesse l’art. 21, c. 2, in base al quale «le disposizioni di cui al presente comma non trovano applicazione nei confronti dei lavoratori impiegati nelle attività stagionali individuate con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali nonché nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi». Secondo un’interpretazione letterale, il rinvio alla contrattazione collettiva è finalizzato alla previsione di fattispecie anche diverse dal lavoro stagionale esentate dal c.d. stop and go. Tuttavia, la prassi negoziale si è concentrata quasi esclusivamente nella qualificazione di nuove attività stagionali. Da qui la necessità di comprendere le ragioni di tale orientamento assumendo come campo d’indagine l’evoluzione della disciplina sul contratto a termine.

In origine, «la speciale natura dell’attività lavorativa derivante dal carattere stagionale della medesima» rientrava tra le eccezioni, in presenza delle quali era consentita l’assunzione a tempo determinato (art. 1, c. 2, lett. a), l. 18 aprile 1962, n. 230). In ottemperanza al c. 6 della norma citata, che preannunciava l’emanazione di un «decreto del Presidente della Repubblica […] entro un anno dalla pubblicazione della presente legge», il d.p.r. 7 ottobre 1963, n. 1525 è intervenuto puntualmente a fissare un elenco tassativo di attività stagionali.[1]

 

Successivamente, l’art. 23, c. 1, l. 28 febbraio 1987, n. 56 aveva riconosciuto in capo alle parti sociali il potere di integrare in via generale le ipotesi di assunzione a tempo determinato:

 

«L’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro, oltre che nelle ipotesi di cui all’articolo 1 della legge 18 aprile 1962, n. 230 […], è consentita nelle ipotesi individuate nei contratti collettivi di lavoro stipulati con i sindacati nazionali o locali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale.»

 

Nello specifico, il rinvio alla contrattazione collettiva finalizzato espressamente all’individuazione di attività stagionali risale all’art. 5, c. 4 ter, d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368:

 

«Le disposizioni di cui al comma 4-bis (stop and go) non trovano applicazione nei confronti delle attività stagionali definite dal decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525, e successive modifiche e integrazioni, nonché di quelle che saranno individuate dagli avvisi comuni e dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative.»

 

A riguardo, l’utilizzo del pronome dimostrativo «quelle» riferito alle «attività stagionali definite dal decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525» lasciava trasparire in modo chiaro la volontà del legislatore di affidare alla contrattazione collettiva la definizione di nuovi lavori stagionali.

Alla luce di tale premessa, le «ipotesi individuate dai contratti collettivi» richiamate genericamente dall’art. 21, c. 2, d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 sembrano inserirsi nel solco tracciato dalla disciplina previgente continuando ad investire le parti sociali della responsabilità di individuare ulteriori attività stagionali, che fuoriescono dalle limitazioni proprie del contratto a termine.[2]

 

Spunti conclusivi.

 

A fronte dell’esigenza di individuare un riferimento normativo più solido a sostegno della linea qui sostenuta, la base giuridica del rinvio alla contrattazione collettiva in tema di individuazione delle attività stagionali è riscontrabile tra l’altro nell’art. 12, c. 2 delle Disposizioni sulla legge in generale del c.c., che fonda la risoluzione di eventuali controversie interpretative sul confronto con «disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe» (c.d. analogia legis). Nel caso di specie, si ha particolare riguardo agli artt. 4, c. 3, d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 e 2, c. 29, lett. b), l. 28 giugno 2012, n. 92, di seguito riportati, concernenti rispettivamente il computo dei lavoratori ai fini dell’adempimento degli obblighi di salute e sicurezza ed il contributo addizionale posto a carico del datore di lavoro in ipotesi di rinnovo del contratto a termine:

 

«3. Fatto salvo quanto previsto dal comma 4, nell’ambito delle attività stagionali definite dal decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525 e successive modificazioni nonché di quelle individuate dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative, il personale in forza si computa a prescindere dalla durata del contratto e dall’orario di lavoro effettuato»;

 

«29. Il contributo addizionale di cui al comma 28 non si applica:

a) […];

b) ai lavoratori assunti a termine per lo svolgimento delle attività stagionali di cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525, nonché, per i periodi contributivi maturati dal 1° gennaio 2013 al 31 dicembre 2015, di quelle definite dagli avvisi comuni e dai contratti collettivi nazionali stipulati entro il 31 dicembre 2011 dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative.»

 

Dal momento che tali disposizioni non lasciano adito a perplessità circa il potere della contrattazione collettiva di integrare l’elenco di attività contenuto nel d.p.r. 7 ottobre 1963, n. 1525, l’interpretazione analogica impone di attribuire il medesimo significato alle «ipotesi individuate dai contratti collettivi» ex art. 21, c. 2, d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81.

Una volta fugato qualsiasi dubbio rispetto alla facoltà delle parti sociali di definire nuove attività stagionali, non rimane altro che stabilire il livello negoziale di riferimento. A fronte del silenzio del legislatore, una soluzione interpretativa di compromesso tra il rinvio indiscriminato ad ogni livello contrattuale, affermato dall’art. 51 d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, ed il richiamo ai «contratti collettivi nazionali» delle norme sopracitate potrebbe consistere nell’identificazione del livello nazionale di contrattazione come sede adeguata di definizione delle nuove attività stagionali, fatta salva la possibilità di delegare tale potere alla contrattazione collettiva di prossimità (territoriale oppure aziendale).

 

Ettore Innocenti

Centro Studi Ricerca e Formazione Cisl

 

[1] Considerato che l’elenco in esame continua a trovare applicazione in attesa dell’emanando decreto ministeriale (art. 21, c. 2, d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81), meritano una menzione le «attività svolte in colonie montane, marine e curative e attività esercitate dalle aziende turistiche, che abbiano, nell’anno solare, un periodo di inattività non inferiore a settanta giorni continuativi o a centoventi giorni non continuativi» (n. 48 Allegato d.p.r. 7 ottobre 1963, n. 1525). A guisa di quanto anticipato con riguardo all’art. 66 bis CCNL TDS, la particolarità degna di nota risiede nella rimessione del requisito di stagionalità al settore economico in cui opera l’azienda nonché all’osservanza di un periodo di inattività piuttosto che ad una prestazione di lavoro specifica.

 

[2] In tale direzione è anche la risposta ad interpello 20 maggio 2016, n. 15 fornita a seguito della richiesta di chiarimento avanzata dall’Associazione Nazionale Vettori e Operatori del trasporto aereo (ASSAEREO). Il Ministero del Lavoro, previo confronto con l’art. 5, cc. 3 – 4 ter, d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368, ha ribadito «come l’attuale quadro regolatorio continui a demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di prevedere altre ipotesi, ulteriori rispetto a quelle già indicate come stagionali dal D.P.R. n. 1525/1963». Nonostante oggetto di interpello fosse la versione originaria dell’art. 21, c.2, d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, il fatto che il Decreto Dignità non abbia apportato modifiche al regime di eccezioni di cui gode il lavoro stagionale ne preserva la conformità alla disciplina vigente.

 

Il lavoro stagionale tra legge e contrattazione collettiva