Il lavoro agile a seguito della pandemia da Covid-19 tra opportunità e (nuovi) rischi (psico-sociali)

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Bollettino ADAPT 11 ottobre 2021, n. 35

 

Se è vero che il concetto di “smart working” (anche se in questo caso dovremmo più correttamente parlare di “lavoro a distanza”) è entrato nel gergo comune a causa della diffusione del Covid-19, che ha visto milioni di persone costrette a lavorare da casa, è altrettanto vero che con l’avvicinarsi del termine dello stato di emergenza nazionale (attualmente fissato al 31 dicembre 2021), parti sociali e singole imprese si trovano adesso a dover disciplinare tale nuova modalità organizzativa del lavoro secondo logiche e regole ordinarie (attualmente contenute nella l. n. 81/2017 e spesso mal bilanciate con il d.lgs. n. 81/2008).

 

In questa prospettiva, si è inserito anche il recente webinar organizzato dall’INAIL e dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) su “Lavoro agile: profili organizzativi e di salute e sicurezza” nell’ambito della campagna “L’impatto della Pandemia – I cambiamenti sul lavoro e sulla salute e sicurezza”, promossa dal G20 Occupational safety and health (OSH).

 

Da questo punto di vista, infatti, è necessario riflettere non soltanto sulle opportunità che, in termini generali, il lavoro “smart” offre a lavoratori e imprese, ma anche sui nuovi rischi (tra cui quelli psico-sociali) che ne potrebbero derivare nel caso in cui tali cambiamenti non vengano accompagnati da una corretta regolazione dell’istituto che si vuole implementare.

 

A fronte della digitalizzazione del lavoro, grazie alla quale è possibile oggi lavorare ovunque e in qualsiasi momento, è sempre più frequente incorrere da un lato nell’insorgenza di rischi fisici ulteriori rispetto a quelli presenti in azienda, come quelli ergonomici e muscolo-scheletrici che possono derivare da postazioni di lavoro non idonee o come la sedentarietà, che spesso affligge i lavoratori agili e che può comportare l’aumento di malattie cardiovascolari. Dall’altro lato, sembrano acquisire un’importanza sempre più centrale i rischi psico-sociali causati da fenomeni come burnout, technostress, iperconnessione, overworking o, ancora, sovrapposizione della sfera lavorativa a quella privata e mancanza di competenze digitali che, rispettivamente, rischiano di aumentare ulteriormente il divario di genere e il gap generazionale già presente in molti contesti lavorativi. Ed è proprio la digitalizzazione del lavoro che, impattando sul nostro modo di lavorare e di relazionarci con il prossimo, cambia le regole del lavoro.

 

A tal proposito, una ricerca del Centro Themis effettuata in partnership con CGIL Torino (in corso di pubblicazione) che ha visto il coinvolgimento di numerosi partecipanti (3378 lavoratori), ha evidenziato come alcuni rischi psico-sociali stiano emergendo a seguito dell’introduzione del lavoro agile: dall’isolamento sociale (50% circa), al problema di overworking e interruzione dei periodo di disconnessione a causa di orari di lavoro maggiori nel caso di prestazione lavorativa svolta da casa (27%). Problemi che, oltre ai rischi tradizionali ormai noti, comportando anche affaticamento mentale (35%) a causa di sovraccarico di tipo cognitivo e iperconnessione, ad esempio, disturbi alla vista (31%), stress (26%), ansia (21%), depressione (20%), etc.

 

Per tale motivo, a causa delle nuove modalità di esecuzione del lavoro come il lavoro agile e, soprattutto, della digitalizzazione del lavoro, sembra inevitabile la necessità di ripensare l’organizzazione della prestazione lavorativa che, mutando, comporta nuovi diritti e nuove necessità di tutela per far fronte tanto alla tradizionale, quanto alla nuova dimensione della salute e sicurezza sul lavoro.

 

Da qui, l’ulteriore necessità di ricomprendere anche la modalità di lavoro agile all’interno della valutazione dei rischi (e, dunque, del Documento di Valutazione dei Rischi – DVR) che le organizzazioni imprenditoriali effettuano ai sensi dell’art. 28, d.lgs. n. 81/2008 e che dovrebbero in questo caso effettuare con indicatori e parametri diversi rispetto a quelli utilizzati per prevenire i meri rischi fisici, tradizionali. E ciò, appunto non solo ai fini dell’informativa sui rischi generali e specifici di cui all’art. 22 l. n. 81/2017, ma piuttosto con l’obiettivo di prevenire anche i rischi psico-sociali (come lo stress) adottando tutte quelle misure idonee per eliminare o ridurre il rischio al minimo (come il diritto alla disconnessione).

 

In questa prospettiva, il diritto alla disconnessione appare uno strumento centrale se si pensa che, come evidenziato da una recente indagine EUROFOUND, coloro che lavorano da casa hanno il doppio delle probabilità di lavorare per un tempo superiore alle 48 ore settimanali e di riposare meno delle 11 ore al giorno previste dal d.lgs. n. 66/2003. Ed infatti, subire continue interruzioni del periodo di riposo sembra comportare stanchezza sul lavoro, problemi psico-sociali, burnout, stress, ansia, depressione, etc. e, di conseguenza, ricadute negative sul lavoro (in termini di produttività) e sul benessere del lavoratore (in termini di salute mentale).

 

Sul punto era già intervenuto il Parlamento UE che, tramite una risoluzione, suggeriva di normare – sollecitando anche l’intervento delle parti sociali nella definizione di misure idonee – il diritto alla disconnessione come un diritto del lavoratore a non rispondere alle sollecitazioni del datore di lavoro in un determinato periodo, ricordando inoltre che la tutela del diritto passa dalla necessità di prevedere misure organizzative concrete nonché di valutare i rischi psicosociali. Un diritto che, sebbene attualmente non sia presente come tale nel nostro ordinamento, il legislatore sembrava voler garantire nel periodo pandemico mediante l’introduzione del d.l. n. 30/2021 in sede di conversione in legge (art. 2, comma 1-ter), riprendendo in mano il testo del disegno di legge Sacconi e fatti salvi i periodi di reperibilità concordati.

 

Di particolare interesse risulta essere la sollecitazione del Parlamento UE sul coinvolgimento delle parti sociali dato che, anche nella maggior parte degli accordi collettivi di lavoro agile, il diritto alla disconnessione tende a coincidere con il rispetto del risposo giornaliero, e non invece a individuarne una disciplina specifica e puntuale come avvenuto in Francia.

 

In questa prospettiva, dunque, al fine di poter beneficiare realmente del lavoro “smart”, appare quanto mai necessario una nuova regolamentazione del lavoro agile che individui, in primis, elementi centrali di regolamentazione come quelli relativi agli strumenti di lavoro, al diritto alla disconnessione, all’aggravio del carico di lavoro e agli orari di lavoro che oggi sembrano trascurati; in secondo luogo sembra urgente un intervento in materia di salute e sicurezza per tutelare il lavoratore agile nella sua dimensione psico-fisica, mediante un migliore coordinamento tra la l. n. 81/2017 e il d.lgs. n. 81/2008. Infine, oltre a un aggiornamento normativo, di fondamentale importanza appare essere un intervento di tipo culturale sulle organizzazioni che dovrebbero basarsi su maggiore fiducia e autonomia dei lavoratori (da intendersi come maggiore responsabilizzazione degli stessi) tramite un adeguato percorso formativo ed educativo.

 

Giada Benincasa

Assegnista presso il Dipartimento di Economia Marco Biagi

Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

@BenincasaGiada

 

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