Politically (in)correct una rubrica ADAPT sul lavoro – Il Jobs Act alla prova del fuoco alla Camera: salvate il soldato Poletti

Il decreto n. 34 (in cui sono raccolte le norme del Jobs Act già definite) muove i primi passi verso la conversione in legge alla Camera. La commissione Lavoro ne comincia l’esame in questi giorni; ma, già dalle dichiarazioni preliminari, si capisce che il provvedimento non avrà vita facile e che i problemi più seri verranno dall’interno della maggioranza.

 

Il presidente della Commissione, Cesare Damiano, ha dichiarato che intende modificare il testo nei punti più qualificanti: dalla soppressione del vincolo della causale per tutto l’arco dei 36 mesi, al numero delle possibili proroghe fino alle norme di semplificazione del contratto di apprendistato per quanto riguarda il piano formativo e l’obbligo di trasformazione di una quota di rapporti per poterne stipulare dei nuovi. Insomma, se passasse questa linea, non si capirebbe quale senso continuerebbe ad avere il decreto.

 

A conti fatti – i numeri sono fondamentali quando si vota – in Commissione Lavoro è tanta l’incertezza. il Pd e il Sel possono combinare una maggioranza spuria. Ma tutto il Pd seguirà la linea di condotta del presidente Damiano, il quale, al di là delle posizioni politiche allineate con quelle della Cgil, è certamente competente ed autorevole? Quanti democrat saranno fedeli al governo in Commissione prima, in Aula poi ? Il decreto ha scomposto gli schieramenti: a sostenerlo ci sono una parte (minoritaria?) del Pd, Forza Italia, il NCD e – immaginiamo – le formazioni centriste. A volere delle modifiche sostanziali sono l’altra parte del Pd (maggioritaria?), una forza di opposizione come il Sel; le altre opposizioni faranno filibustering e… demagogia. E quindi lavoreranno contro l’impostazione del decreto.

 

Chi scrive ha molto apprezzato le dichiarazioni rilasciate in proposito dal ministro Giuliano Poletti. Se fosse istituito il premio del politically(in)correct, il ministro meriterebbe di ricevere quello settimanale per la franchezza dimostrata nel presentare le cose come stanno. Nei giorni scorsi, a quanti lamentavano che la liberalizzazione dei contratti a termine avrebbe favorito la precarietà, Poletti ha ricordato che già adesso il 70% delle assunzioni (sono dati di flusso e non di stock) avviene con questa forma contrattuale. Più recentemente, il ministro ha sottolineato che, grazie alle modifiche introdotte nel decreto, il governo vuole ridurre il contenzioso. Proposito lodevole, perché, nella sua genericità, il c.d. causalone era una classica furbizia all’italiana. Col suo dire e non dire, sottoponeva le imprese alla roulette russa dei tribunali.

 

La riforma del contratto a termine (il cui impiego viene sottratto, come abbiamo ricordato, al “capriccio” del giudice) è tanto più importante per altri due motivi: 1) se ne rafforza la centralità al momento dell’assunzione non solo rispetto al classico contratto standard a tempo indeterminato, ma anche nei confronti delle forme atipiche, il cui utilizzo, adesso, è molto rischioso dopo le modifiche introdotte dalla legge n. 92 del 2012; 2) si rende marginale l’invenzione intellettualistica del contratto unico a tempo indeterminato e a tutela crescente non solo perché, per ora, è materia della delega, ma soprattutto perché ben pochi datori di lavoro ne faranno uso (anche se si dovesse alleggerire la protezione in caso di licenziamento) potendo avvalersi per un triennio di un contratto a termine “liberalizzato” e molto meno complicato, all’atto della risoluzione.

 

Quanto alla Cgil e ai suoi alleati parlamentari è il caso di rimproverare un errore compiuto: quello di aver perduto apposta l’occasione dei contratti Expo. A che cosa intendiamo fare riferimento? Nel testo iniziale del decreto legge n.76 del 2013 (il c.d. pacchetto Giovannini) era contenuta una norma che posticipava oltre i 12 mesi di cui alla legge n. 92 del 2012 e fino a tutto il 2015, la possibilità di assumere a termine, esonerando i datori dalla trappola di indicare la causale. In sostanza, si trattava di “liberalizzare” l’utilizzo dei contratti a tempo determinato nella prospettiva e durante lo svolgimento di un evento eccezionale come l’Expo 2015 (sempre che i pm non ne determinino il fallimento preventivo), adottando uno strumento di flessibilità, di carattere sperimentale temporaneo, dal momento che le imprese interessate non avrebbero mai potuto caricarsi di organici stabili, a partire dalle fasi prparatorie.

 

Durante la conversione del decreto la norma venne stralciata e rinviata ad un avviso comune per il quale il ministro Enrico Giovannini si affrettò ad aprire un tavolo di confronto nel mese di settembre dello scorso anno. Ben presto si capì che quel negoziato era destinato ad arenarsi. I sindacati (in primis la solita Cgil) insistettero per individuare le aree territoriali e i settori (a loro dire collegati all’Expo) nei quali fosse consentito applicare le nuove regole. Non arrivando così a capo di nulla perché l’operazione avrebbe avuto un senso soltanto se considerata come un’opportunità per l’apparato produttivo su tutto il territorio nazionale. E Giovannini manzionanamente “rispose”. Il limite temporale, che includeva in sé anche il criterio della sperimentalità, avrebbe permesso, in sede di verifica degli effetti sull’occupazione, di assumere o meno, a ragion veduta, delle ulteriori decisioni di carattere strutturale.

 

Oggi i sindacati si trovano ad affrontare una riforma del contratto a termine ben più robusta e definitiva di quella prefigurata a suo tempo. E si dividono. Mentre la Cisl riconosce che la stipula di un contratto a termine è comunque una forma di impiego corredata di precise garanzie, la Cgil, dopo 48 ore di disattenzione, ha preso posizione, sollecitata dalla Fiom, contro le nuove disposizioni contenute in proposito nel decreto, evocando il pericolo di una maggiore precarietà. E Giorgio Squinzi ? Chi lo capisce è bravo. Ha rivendicato il cambio di governo. Ed ora se ne sta lì in un angolo corrucciato (come la “vergine cuccia” nei versi del Parini) dopo la “pedata” del bonus sull’Irpef per i soli lavoratori, mentre la sua principale alleata, Susanna Camusso, cerca di sfilargli, da sotto il naso, la norma sui contratti a termine, il principale provvedimento, utile alle imprese e all’occupazione, che il governo abbia fino ad ora disposto.

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

 

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