I sistemi formativi e la sfida del mondo che cambia. Spunti dall’ultimo report OECD

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Bollettino ADAPT 28 gennaio 2019, n. 4

 

Lo scorso 21 gennaio è stato pubblicato il report OECD dal titolo Trends shaping education 2019, che illustra alcuni mega-trend della trasformazione in atto in ambito sociale, demografico, tecnologico, ambientale e ne mostra l’influenza sui sistemi formativi ed educativi. Il mondo sta cambiando: sta cambiando il lavoro, la società, l’economia, la cultura. La sfida lanciata dal report è quella di “agganciare” i percorsi d’istruzione a questi cambiamenti, fornendo degli spunti con i quali immaginare sistemi formativi ed educativi adeguati alla società nella quale viviamo – e vivremo. Una sfida che, declinata nel contesto italiano, rischia di mostrare impietosamente i limiti di un’istruzione ancora saldamente legata a un mondo ormai passato. Ma senza affrettarci alle conclusioni, è opportuno esporre brevemente i mega-trend analizzati dall’OECD, così da capirne l’effettiva rilevanza per un’istruzione che voglia essere davvero destinata alla formazione integrale della persona.

 

Il report è suddiviso in cinque capitoli, corrispondenti a cinque mega-trend. Il primo si concentra, a partire dal fenomeno della globalizzazione, sull’analisi dei cambiamenti economici e sociali in atto: con i primi si identifica ad esempio il sempre maggior peso delle economie asiatiche (a cui corrisponde, oggi, un quarto del PIL globale), assolutamente marginale nello scorso secolo, con il secondo la diffusione sempre più frequente (e particolarmente evidente in Italia) di classi “miste”, composte da giovani provenienti da diversi Paesi a seguito di flussi migratori e appartenenti a culture e religioni diverse da quelle del paese d’immigrazione, flussi generati anche da una maggior mobilità internazionale. Il report sottolinea come l’emersione di queste nuove economie sullo scenario globale generi anche un conseguente aumento della “middle class”, un processo che deve essere accompagnato da precise strategie educative e formative: sia nei paesi in via di sviluppo, sia – e soprattutto – nei paesi destinatari di nuovi e imponenti flussi migratori, con lo scopo di garantire una formazione adeguata a generare soggetti attivi nella società e capaci di affrontare le sfide del mondo del lavoro. Inoltre, l’economia del futuro è descritta come knowledge-intesive: è opportuno quindi chiedersi se l’istruzione attuale, soprattutto terziaria, formi i giovani affinché abbiano le giuste competenze (non solo digitali) che li rendano autenticamente occupabili anche in un mercato dove si sta diffondendo l’A.I. (artificial intelligence) e l’innovazione connessa a Industry 4.0. Il terzo trend, trattando il tema delle nuove esigenze di sicurezza, sottolinea la sempre maggior permeabilità del digitale nella vita di tutti i giorni. A una nuova economia corrisponde quindi anche nuove esigenze di tutela, sia in ambito digitale che lavorativo: la tecnologia impatta infatti sul mondo del lavoro generando nuovi fenomeni che richiedono nuove regole, e non di essere inquadrati secondo logiche passate. Anche in questo caso, l’istruzione gioca un ruolo fondamentale, chiamata com’è a dare ai discenti gli strumenti necessari per guardare con lucidità questi cambiamenti, essendone consapevoli (dando quindi il giusto peso al ruolo del digitale e alla condivisione di informazioni online) e dotati delle giuste competenze e capacità per essere protagonisti (e non subire passivamente) del futuro del lavoro.

 

Il secondo trend è direttamente collegato al primo, in quanto mostra come sia in declina la partecipazione alla vita democratica e sociale in molti Paesi OECD, mentre aumentando le disuguaglianze economiche: basti pensare che i votanti negli anni novanta nei paesi OECD erano mediamente il 75% della popolazione, ora il 68%, e che il 10% della popolazione dei Paesi OECD più ricco guadagna 9 volte e mezzo in più del 10% più povero. L’istruzione non deve quindi essere intesa come “addestramento” a una professione, piegata (unicamente) al mercato del lavoro, ma deve avere come obiettivo l’educazione alla cittadinanza attiva, alla scelta consapevole in ambito pubblico e politico. Siamo in una fase storica in cui emergono nuove differenze, alcune vanno allargandosi (come quelle economiche), altre sono più attenzionate dal dibattito pubblico. L’istruzione ha il compito fondamentale di trasmettere non solo un insieme di informazioni, ma di aiutare la maturazione di una coscienza critica e libera nei giovani, capaci di riconoscere e giudicare i complessi fenomeni che abitano la grande trasformazione in atto. L’istruzione è uno strumento per migliorare la vita democratica, e per realizzare questo gravoso compito deve necessariamente essere “di tutti”, nessuno escluso. In quest’ottica, l’OECD ritiene opportuno valorizzare la formazione professionale (VET) spesso relegata – come in Italia – a una seconda scelta per chi, secondo i canoni tradizionali, non ha determinate qualità cognitive.

 

Il quarto e il quinto trend si occupano, rispettivamente, dell’innalzamento dell’età media della popolazione mondiale grazie ad una migliore aspettativa di vita e dell’emergere e diffondersi di nuove culture. Concentrandosi soprattutto sul quarto trend, si può facilmente concordare con i ricercatori dell’OECD quando individuano nell’istruzione e nella formazione un tassello fondamentale per affrontare l’innalzamento dell’età media. I dati riportati sono eloquenti: tra il 1970 e il 2015 l’aspettativa di vita ha visto un aumento medio di 10 anni. È aumentata conseguentemente la durata delle pensioni: si passa da meno di 10 anni in pensione per gli uomini e 15 per le donne nel 1970, a 18 anni per gli uomini e 22 per le donne nel 2017. Molti sistemi previdenziali sono quindi in affanno: l’OECD si chiede quindi se, per mantenere occupabile il lavoratore e accompagnarlo nelle sue (sempre più numerose) transizioni lavorative, non si debba immaginare un vero e proprio diritto-dovere alla formazione continua, immaginando anche percorsi in grado di aiutare i lavoratori più anziani a diventare “mentori” e “maestri” di quelli più giovani, costruendo così ponti generazionali dove gli anziani rimangono attivi pur acquisendo un diverso ruolo. Se il lifelong learning è uno strumento fondamentale per carriere sempre più lunghe, lo è in primis per i docenti stessi, chiamati ad aggiornare le loro conoscenze e competenze costantemente. Riprendendo un’espressione di Tony Carnevale (direttore del Georgetown University Center on Education and the Workforce), “Education and jobs are becoming the same things”. Raccogliendo in questo trend alcuni spunti emersi anche dai precedenti, all’orizzonte sembra profilarsi l’idea che l’economia, la società, il lavoro, e l’istruzione dovranno essere sempre più legati e interconnessi, non attraverso logiche di semplice collaborazione, ma con una contaminazione reciproca nei metodi e nei contenuti. L’idea di un’istruzione legata a doppio filo con l’esperienza del lavoro è, ad esempio, alla base del metodo dell’alternanza formativa, ancora poco diffuso – in particolar modo in Italia. La ricerca OECD sembra invece indicare come necessario il contrario di quanto accaduto, ad esempio, con l’ultimo Legge di Bilancio: maggior investimenti su un’istruzione di qualità, sui docenti, sulle tecniche e sui metodi educativi, sui percorsi capaci di far dialogare scuola e imprese.

 

Concludendo, la ricerca OECD sfida i sistemi formativi a cambiare e innovarsi, senza stravolgere ma anzi riscoprendo la propria missione educativa: formare giovani capaci di essere protagonisti della loro vita, delle loro scelte, del loro lavoro, della loro società, dotati delle giuste competenze e, soprattutto, di criteri con cui guardare la realtà e il mondo che cambia. Un richiamo che sembra in linea con quanto contenuto nel nostro dettato costituzionale, in particolare agli artt. 3, 34 e 35, là dove invita a “rimuovere gli ostacoli…che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”, dove ricorda che “la scuola è aperta a tutti” e tutela il diritto allo studio, e dove sottolinea che la Repubblica “cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori”, lungo tutto l’arco della vita. In un mondo che va verso l’intreccio sempre più stretto delle diverse dimensioni che compongono il vivere umano, la sfida è allora quella di immaginare e progettare sistemi formativi in grado di tener fede ai principi ispiratori della nostra carta costituzionale, formando persone libere, dotate di spirito critico e capaci di guardare alla realtà senza pregiudizi. Anche perché una formazione di qualità garantisce anche ritorni professionali e occupazionali tangibili: educare non solo ad un mestiere, ma ad una crescita della propria professionalità continua nel tempo è il primo fattore determinante per favorire una piena occupabilità della persona. La scuola, da sola, non può svolgere questo compito: ha bisogno invece, come sopra ricordato, di aprirsi al territorio nella quale è inserita e collaborare con enti locali, imprese, soggetti pubblici e privati, generando così una cultura nuova, dove si intrecciano sapere e saper fare, scuola e lavoro, locale e globale, tradizione e innovazione. Una sfida da raccogliere a più livelli, non solo istituzionali, ma anche locali e civili, al fine di promuovere questa nuova cultura, capace di accompagnare la grande trasformazione in atto, senza rifiutarsi di guardarla o ignorandola.

 

Matteo Colombo

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@colombo_mat

 

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