I fondi di solidarietà bilaterali, tra esigenze di universalizzazione e sistemi di relazioni industriali

ADAPT – Scuola di alta formazione sulle relazioni industriali e di lavoro

Per iscriverti al Bollettino ADAPT clicca qui

Per entrare nella Scuola di ADAPT e nel progetto Fabbrica dei talenti scrivi a: selezione@adapt.it

Bollettino ADAPT 17 gennaio 2022, n. 2
 
La Legge di Bilancio 2022 porta con sé importanti novità sul fronte degli ammortizzatori sociali. In particolare, l’art. 1, comma 204 prevede che “a decorrere dal 1° gennaio 2022 l’istituzione dei fondi di cui al comma 1-bis (ovvero, i Fondi di solidarietà bilaterali) è obbligatoria per i datori di lavoro che occupano almeno un dipendente” introducendo così l’obbligo di costituzione di una tutela per tutte le aziende non industriali anche con un solo dipendente.
 
Procede in questo modo il processo di universalizzazione degli ammortizzatori sociali, attraverso una precisa scelta del legislatore: l’obiettivo di garantire una copertura a tutte le realtà produttive a prescindere dalla dimensione occupazionale e dalla tipologia di attività. Obiettivo che però viene perseguito attraverso il ricorso ad uno strumento, quale il fondo di solidarietà bilaterale, gestito dalle parti sociali e non dallo Stato stesso, come invece avviene nel caso della Cassa integrazione in deroga. Dunque, la tutela troverebbe la sua radice non nella legge dello Stato ma in quell’insieme di disposizioni formali e informali che autoregolano interessi organizzati e contrapposti, espressi dalle associazioni dei datori di lavoro e dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori, ovvero il diritto delle relazioni industriali (Spagnuolo Vigorita, 1991; Tiraboschi, 2016).
 
Si tratta di una scelta che consegna al mondo della rappresentanza una sfida ambiziosa, legata al governo del rischio della sospensione dell’attività produttiva, ma che allo stesso tempo rimette al centro le complesse dinamiche riguardanti il rapporto tra ruolo dello Stato e ruolo delle parti sociali. Il tema dei fondi bilaterali offre infatti una particolare angolazione per inquadrare il tema dei perimetri e del settore di riferimento, argomento da sempre al centro del dibattito politico-sindacale. Prima di entrare nel cuore del problema, occorre però fare il punto sugli strumenti che il legislatore ha prescelto per questa funzione.
 
I fondi di solidarietà bilaterali oggi (prima dell’intervento nella Legge di Bilancio 2022)
 
Il d.lgs. n. 148 del 2015 prevede che le organizzazioni sindacali e imprenditoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale appartenenti ai settori non rientranti nell’ambito di applicazione dei trattamenti di integrazione salariale ordinaria (art. 10), abbiano la facoltà di costituire fondi di solidarietà bilaterali con la finalità di assicurare ai lavoratori una tutela in costanza di rapporto di lavoro nei casi di riduzione e sospensione dell’attività lavorativa. I predetti fondi sono istituiti presso l’INPS con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze (il decreto ministeriale si limita a recepire il contenuto dell’accordo sindacale, atto istitutivo del fondo).
 
In alternativa a questo modello, l’art.27 del medesimo decreto, tenendo conto dei consolidati sistemi di bilateralità e delle peculiari esigenze dei settori dell’artigianato e della somministrazione di lavoro, ha affidato alle rispettive parti sociali comparativamente più rappresentative di adeguare gli accordi istitutivi dei fondi alla disciplina prevista.
 
Infine, gli art. 28 e 29 hanno previsto l’istituzione del Fondo Integrazione Salariale, cui sono obbligatoriamente soggetti i datori di lavoro che occupano mediamente più di 5 dipendenti, appartenenti a settori, tipologie e classi dimensionali non rientranti nell’ambito di applicazione della cassa ordinaria e che non hanno costituito fondi di solidarietà bilaterali di cui agli art. 26 e 27 del d.lgs. 148 del 2015.
 
Emerge, pertanto, un quadro piuttosto variegato dei sistemi di ammortizzatori sociali che tiene conto del pluralismo degli attori, della rappresentanza, dei diversi modi di lavorare e delle esigenze settoriali. Nella maggior parte dei casi, il settore di riferimento viene definito ricalcando i perimetri contrattuali del CCNL. Questa prassi fa sorgere non poche questioni: si pensi, infatti, all’impresa che applica un diverso CCNL e che quindi si va a collocare in un diverso settore; oppure all’impresa che non rientra nel campo di applicazione del CCNL ma in quello definito dall’accordo istitutivo del fondo (i quali, spesso, ricorrono anche alla classificazione ATECO).
 
La problematica questione dell’applicazione del CCNL
 
La struttura istituzionale appena presentata orbita, essenzialmente, attorno al contratto collettivo. Tuttavia, non sono mancati casi in cui l’accordo istitutivo del fondo definiva il “campo di gioco” ben oltre i confini tracciati dal CCNL di settore. E ciò perché se da un lato è l’accordo sindacale ad istituire il Fondo, dall’altro è il decreto ministeriale, ai sensi dell’art. 26 del d.lgs. n. 148 del 2015, a conferire legittimità e operatività alo stesso. Pertanto, il decreto ministeriale finisce per assurgere a fonte di fatto e a stabilire anche il criterio che individua in maniera specifica, sulla base delle previsioni degli accordi e contratti collettivi, l’ambito di applicazione del fondo di solidarietà bilaterale, indicando il codice ATECO di riferimento (come testimoniano, del resto, le numerose circolari applicative dell’Inps illustrative degli obblighi di versamento ai vari Fondi).
 
Indirettamente si può quindi dedurre che l’obbligo di contribuzione al fondo bilaterale non può in ogni caso dipendere dal CCNL applicato o dall’affiliazione ma solo dal settore di attività esercitata dal datore di lavoro (si pensi al caso del Fondo di solidarietà bilaterale dei servizi ambientali, del Fondo ormeggiatori e barcaioli, del Fondo di solidarietà bilaterale per le attività professionali). Nella prassi, tuttavia, appare evidente come alle varie aree merceologiche/settori individuati secondo la classificazione ATECO possano corrispondere aree contrattuali e CCNL di riferimento differenti.
 
Alla luce di ciò, il rischio che si corre in un sistema di questo tipo è quello di creare casi di asimmetria tra accordo istitutivo e CCNL di riferimento, con la conseguenza di snaturare o comunque influenzare l’impianto generale del sistema di ammortizzatori sociali che nasce e si sviluppa bilateralmente nell’ambito dei sistemi di relazioni industriali.
 
Le novità della Legge di Bilancio e la sfida per le parti sociali
 
Con il nuovo intervento della Legge di Bilancio, attraverso il quale la tutela bilaterale obbligatoria viene estesa alle aziende con almeno un dipendente, appare chiaro che il discorso (e il problema) sulla definizione dei confini settoriali manifesterà nuovamente la propria attualità, facendo emergere in maniera ancora più evidente il complesso rapporto tra le logiche amministrativo-burocratiche degli enti quali l’INPS e le scelte politico-istituzionali che spettano ai corpi intermedi attraverso gli strumenti contrattuali.
 
A fronte di questa universalizzazione “calata dall’alto” tramite il ricorso alla bilateralità, la sfida che si pone davanti alle parti sociali è quindi carica di implicazioni e pone in primo piano il ruolo che le stesse intendono giocare nell’attuale sistema previdenziale. Da una parte, gli attori sociali potranno accettare un ruolo di coinvolgimento “istituzionalizzato”, entro i precisi paletti posti dal legislatore, lavorando di concerto con la pubblica amministrazione per ampliare i confini di applicazione dei fondi contrattuali anche al di fuori dei settori tradizionali.
 
Dall’altra parte, la prospettiva alternativa che si pone, per quanto maggiormente complessa, appare certamente più ambiziosa. Piuttosto che partecipare ad una burocratica costruzione “a tavolino” dei campi di applicazione dei fondi bilaterali, basata sulla tradizionale rappresentazione della geografia del lavoro offerta dai codici ATECO, la rappresentanza può riappropriarsi della capacità di governare la disciplina dei mercati del lavoro attraverso la contrattazione collettiva e gli strumenti bilaterali da essa sviluppati, creando soluzioni adatte alle diverse realtà produttive e in grado di “attrarre” imprese fino a quel momento fuori dal campo di applicazione del CCNL.
 
Nel campo del welfare, in numerosi settori del mercato del lavoro privato è stata proprio l’azione degli organismi bilaterali a garantire un’ampia tutela ai lavoratori, ben prima che il legislatore intervenisse per istituzionalizzare tali pratiche. Le prestazioni di sostegno al reddito sono spesso state anticipatorie di più ampie soluzioni mirate a rispondere a bisogni crescenti di protezione sociale, come l’esperienza di tanti enti bilaterali ma anche degli stessi fondi di solidarietà bilaterali, negli ultimi anni, dimostra.
 
Il rischio che, con un’eccessiva istituzionalizzazione, si perdano i caratteri “vitali” e autonomi di questi processi bilaterali è oggi concreto, anche alla luce delle ultime evoluzioni normative. Spetta ora alle parti sociali saper rispondere con una precisa scelta di campo.
 

Michele Dalla Sega

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@Michele_ds95
 
Giovanni Piglialarmi

Ricercatore presso il Dipartimento di Economia “M. Biagi”
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
 
@Gio_Piglialarmi
 
Andrea Zoppo

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@AndreaZoppo

I fondi di solidarietà bilaterali, tra esigenze di universalizzazione e sistemi di relazioni industriali