I 25 anni dell’Agenzia europea per la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro

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Bollettino ADAPT 27 maggio 2019, n. 20

 

La recente Campagna dell’Agenzia Europea per la Salute e Sicurezza per la gestione delle sostanze pericolose (2018-2019)

 

L’Ultima Campagna dell’Agenzia Europea per la Salute e Sicurezza (EU OSHA) ha messo in evidenza che in un numero crescente di settori produttivi i lavoratori stanno sperimentando il problema della esposizione a sostanze pericolose: accanto ai tradizionali settori della agricoltura e della manifattura, altri settori come quello della assistenza sociale e sanitaria, dei trasporti potrebbero far registrare elevati livelli di esposizione a sostanze pericolose. In tutti i settori ci sono mansioni che comportano l’esposizione a sostanze pericolose, come la preparazione del cibo e il lavoro di pulizia.
Nessun settore produttivo può dirsi esente dal rischio correlato alle sostanze pericolose, per questo i datori di lavoro devono valutare con accuratezza questo rischio.

 

È noto che alcune sostanze pericolose possono causare danni alla sicurezza dei lavoratori, come quelli ricollegabili al rischio di incendio o esplosione. Per quanto riguarda i possibili danni alla salute, invece, sappiamo che i meccanismi attraverso cui può avvenire il contatto con l’organismo umano sono diversi: l’inalazione, l’assorbimento cutaneo e l’ingestione.
Alcune malattie possono scaturire dopo una breve esposizione alla sostanza pericolosa, come ad esempio le dermatiti, altre richiedono una esposizione per un ampio periodo di tempo, come nel caso dell’asbestosi. Il contatto prolungato con sostanze pericolose può determinare anche danni all’apparato riproduttivo e rischi di malformazioni per il nascituro.

L’Unione Europea ha posto una precisa regolamentazione relativa alla classificazione delle sostanze chimiche pericolose e valutazione del relativo rischio (si vedano il Regolamento Reach e il Regolamento CLP.) Tuttavia si stanno aprendo nuove sfide per la gestione delle sostanze pericolose sul posto di lavoro, ad esempio nel settore dei c.d. “green job” e in relazione all’uso di materiali innovativi e tecnologie con rischi ancora sconosciuti per la salute e sicurezza, oltreché in riferimento a sostanze pericolose che operano come interferenti endocrini, contribuendo allo sviluppo dell’obesità e del diabete.

 

L’Agenzia Europea, con la campagna sulle sostanze pericolose, intende mettere in guardia anche dalla comune considerazione secondo la quale l’uso di sostanze pericolose sarebbe diminuito. È vero che molte esposizioni nocive ben note sono state significativamente ridotte a causa di iniziative politiche, legislative e pressioni da parte dei sindacati. Tuttavia ci sono molte sostanze pericolose meno conosciute.

 

Si pensi che solo nel 2017 ben 129.000 sostanze sono state classificate come pericolose ai sensi del Regolamento sulla classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze pericolose, c.d. C.L.P. 10.000 sostanze sono state registrate nell’ambito del Regolamento REACH (Regolamento sulla Registrazione, Valutazione, Autorizzazione e Restrizione degli agenti chimici pericolosi). E occorre ricordare che il Regolamento Reach non ricomprende le sostanze pericolose generate durante operazioni di lavoro, come le polveri di combustione. I Regolamenti Reach e CLP hanno introdotto regole di fondamentale importanza per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori e dei consumatori in generale, come le informazioni obbligatorie che devono essere contenute nelle schede di sicurezza che accompagnano i prodotti pericolosi, e l’indicazione degli usi consentiti. Inoltre i regolamenti in questione hanno introdotto nuovi requisiti di classificazione ed etichettatura, compresi nuovi simboli e indicazioni di pericolo.

 

Al fine di supportare le piccole e medie imprese nel complesso processo di valutazione dei rischi derivanti dall’uso di sostanze pericolose, l’Agenzia propone di suddividere la valutazione di tutti i rischi in vari passaggi: innanzitutto fare un inventario di tutte le sostanze pericolose presenti sul luogo di lavoro, raccogliere le informazioni sui danni provocati e sulle misure di prevenzione raccomandate dai produttori e dai fornitori delle sostanze. Tali informazioni devono essere trasmesse ai lavoratori per una corretta manipolazione delle sostanze. Occorre poi valutare la durata e l’intensità di esposizione dei lavoratori, tenendo presenti anche i rischi ricollegabili alla interazione di più sostanze pericolose tra loro. È necessario pure considerare categorie di lavoratori che potrebbero essere esposti a rischi particolari e coinvolgere i lavoratori nel processo di valutazione del rischio, soprattutto nel caso in cui dovessero essere apportate significative modifiche nelle sostanze utilizzate e nei processi di lavoro.

 

L’Agenzia Europea svolge anche un compito importantissimo nel diffondere la conoscenza in merito a siti o piattaforme a cui le aziende possono far riferimento per una corretta identificazione delle sostanze pericolose come la piattaforma Stoffenmanager, che aiuta le imprese ad identificare i rischi chimici e controllare l’esposizione nei luoghi di lavoro.
Inoltre viene sollevato il problema dei dispositivi di protezione individuale, utilizzati per la gestione di questo rischio, che molto spesso non sono adeguati alle caratteristiche del corpo femminile. Per questa ragione molte donne che per lavoro devono gestire sostanze pericolose non indossano i dispositivi di protezione individuale correndo gravi rischi per la propria salute e sicurezza. Tuttavia vi sono anche alcune buone pratiche: in Canada, ad esempio, i centri per la formazione hanno sviluppato delle liste di controllo che possono essere consultate dalle donne lavoratrici per valutare se i DPI sono stati correttamente indossati.

 

I 25 anni di attività dell’Osha

 

L’Agenzia Europea per la salute e sicurezza è stata fondata nel 1994 con il Regolamento n. 2062. Tra le finalità assegnate nel Regolamento vi è quella di fornire agli organi comunitari e agli Stati Membri informazioni obiettive di carattere tecnico, scientifico ed economico necessarie per l’attuazione di politiche efficaci in materia di tutela della sicurezza. Un’altra importante finalità riconosciuta nel regolamento istitutivo è quella di fornire alla Commissione Europea le informazioni necessarie per portare a buon fine i suoi compiti di individuazione e valutazione di misure e norme in materia di sicurezza, segnatamente per quanto riguarda l’impatto della legislazione sulle piccole e medie imprese.

 

Nel corso dei 25 anni di attività l’Agenzia Europea ha affrontato molteplici temi con uno sguardo sempre attento alle necessità delle categorie più vulnerabili di lavoratori, come i giovani, le donne e i migranti.
L’Agenzia ha messo a punto delle guide (e – guide) in formato digitale facilmente accessibili sul sito, rivolte a tutti i soggetti interessati al problema, dunque non soltanto ai datori di lavoro, ma anche ai lavoratori e agli esperti di salute e sicurezza.

 

Nella guida elettronica sullo stress lavoro correlato l’Agenzia, ad esempio, al fine di accrescere la consapevolezza del problema, indica i fattori di rischio, il quadro normativo di riferimento di ogni Paese Membro dell’Unione Europea, unitamente al quadro normativo comunitario. Su questo tema, per quanto riguarda il nostro Paese, è possibile scaricare anche il manuale dell’Inail del 2011, “Valutazione e gestione del rischio stress lavoro correlato”, valido strumento operativo per adempiere agli obblighi normativi.
Anche in materia di gestione delle sostanze pericolose la guida elettronica predisposta dall’Agenzia è composta da un questionario stampabile al termine del quale viene fornita una lista di cose da fare e di raccomandazioni relative a misure da prendere e buone pratiche.
Accanto alle guide elettroniche occorre annoverare un altro strumento di fondamentale importanza quale è l’Oira (Online Interactive Risk Assessment).

 

Lo strumento in questione è pensato dall’Agenzia per facilitare la valutazione del rischio soprattutto per le imprese di piccole e medie dimensioni. Il metodo utilizzato è quello di accompagnare, attraverso una serie dettagliata di quesiti, il datore di lavoro nel processo di identificazione e valutazione di tutti i rischi presenti, anche mediante una puntuale indicazione dei possibili rischi nei più disparati settori produttivi.

 

L’agenzia, attraverso il suo osservatorio, ha condotto nel corso del tempo studi importantissimi sui rischi emergenti: tra questi occorre ricordare lo studio sui rischi associati alla digitalizzazione del mercato del lavoro. (Vedi il Report Foresight on new and emerging occupational safety and health risks associated with digitalisation by 2025, European Risk Observatory, 2018).

 

Da questo studio emerge che i lavoratori attualmente cambiano spesso lavoro, non hanno il tempo o i soldi per una formazione di qualità, e sperimentano lunghi periodi di disoccupazione. I datori di lavoro trasferiscono di solito la responsabilità della gestione della salute e sicurezza ai loro lavoratori attraverso pseudo contratti di lavoro autonomo. La precarietà del lavoro crea la maggiore disponibilità dei lavoratori ad accollarsi i rischi relativi alla sicurezza, pur di lavorare. Accanto a questo discorso l’introduzione di nuovi materiali, come quelli utilizzati per le stampe 3 D e 4D può esporre i lavoratori a nuovi rischi derivanti dal contatto con particelle tossiche. La costante presenza dei personal computer pone anche il problema dei rischi all’apparato visivo e cognitivo, oltreché problematiche muscoloscheletriche. Anche l’affiancamento all’uomo dei robot collaborativi dovrebbe indurre a considerare il rischio di impatto e i rischi legati al rumore e alle vibrazioni. Pur essendo vero che l’uso dei sensori sui robot dovrebbe garantire la sicurezza fisica dei lavoratori, se i sensori si guastano potrebbe determinarsi la collisione con i lavoratori. Dunque, l’automazione, pur offrendo vantaggi per la gestione della salute e sicurezza a molti lavoratori rimuovendoli dall’esposizione ad ambienti pericolosi, potrebbe anche lasciare ai lavoratori solo compiti molto ripetitivi, con il robot che determina la velocità con cui vengono eseguiti, o lasciare che i lavoratori svolgano soltanto i compiti più difficili e / o pericolosi, riducendo la rotazione delle attività.

 

L’Agenzia ha condotto anche un importante studio sull’impatto dei lavori verdi sulla sicurezza dei lavoratori. È evidente che la velocità di espansione di questo settore possa determinare dei rischi per la sicurezza dei lavoratori, soprattutto a causa della mancanza di formazione degli stessi. Inoltre occorre essere sicuri che soluzioni appropriate per l’ambiente garantiscano anche il rispetto degli standard di sicurezza per i lavoratori.

 

L’uso di nuovi materiali come biomateriali e nanomateriali dovrà essere strettamente monitorato in relazione ai rischi per la salute e la sicurezza, in particolare per i rischi per la salute a lungo termine e si dovranno fare ancora studi più approfonditi, per esempio sulla tutela della sicurezza dei lavoratori a contatto con impianti di energia eolica. In linea generale occorre garantire che le pressioni esercitate da fattori economici e politici ad intraprendere azioni di sostenibilità ambientale non contribuiscano ad ignorare le istanze di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori (vedi Green jobs and occupational safety and health: Foresight on new and emerging risks associated with new technologies by 2020, 2013).

 

L’Agenzia ha anche affrontato la problematica della tutela della salute e sicurezza nell’ambito delle piccole e medie imprese. Si tratta di un rapporto di fondamentale importanza perché mette in evidenza le problematiche di applicazione della legge in questi contesti. Per esempio, sebbene in tutti gli Stati Membri dell’Unione sia ormai obbligatoria la redazione di un documento di valutazione di tutti i rischi al fine di definire un chiaro programma di prevenzione, soltanto il 46% dei datori di lavoro dichiara di avere questo documento (vedi Safety and health in micro and small enterprises in the EU: the view from the workplace, 2018). Un altro problema fondamentale è che si cerchi di regolare le questioni di salute e sicurezza sulla base della categoria del “buon senso” con la conseguenza di una diffusa mancanza di comprensione circa l’utilità di una gestione complessiva e formalizzata della salute e sicurezza.

 

Il lavoro svolto lungo questi anni ha costituito un imprescindibile supporto all’attività della Commissione, del Parlamento e del Consiglio Europeo nell’individuazione delle priorità su cui agire. Si pensi che nella recente comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio del 2017 è stata individuata la necessità di incoraggiare gli Stati Membri ad una più ampia tutela dei lavoratori autonomi che operano nei settori a più alto rischio, la necessità di garantire una effettiva tutela della salute e sicurezza ai due milioni e mezzo di persone che operano nell’ambito del lavoro domestico, spesso esclusi dalla tutela stabilita dalle regolamentazioni nazionali. Ad oggi solo sei stati Membri, tra cui l’Italia, hanno ratificato la Convenzione dell’Ilo sulla tutela della sicurezza nell’ambito del lavoro domestico. Se ne incoraggia dunque la ratifica e una pratica implementazione sulla base anche delle buone prassi. Si sollecita anche un rafforzamento della cultura della prevenzione, guardando alla esperienza di alcuni Stati Membri, nei quali gli organi ispettivi non irrogano solo le sanzioni ma svolgono un importante ruolo di supporto alle imprese.

 

Paola de Vita

Dottore di ricerca in Relazioni di lavoro internazionali e comparate

 

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