Genitorialità e lavoro. Primo commento all’ultimo rapporto ILO sul tema

L’ILO nel recente rapporto Maternity and paternity at work: Law and practice across the world, pur registrando un generale miglioramento in termini di normative a tutela della maternità e della paternità (185 i Paesi analizzati), denuncia che il 71,6% delle lavoratrici (di cui l’80% vive in Africa e in Asia), non è ancora adeguatamente tutelato.
 
Lo standard minimo pari a 14 settimane di congedo di maternità – di cui alla Convenzione ILO n. 183 del 2000 – è stato raggiunto dal 53% dei Paesi (nel 1994 era solo il 34%), tuttavia la forza lavoro femminile effettivamente protetta è pari al 28,4%, nonostante la percentuale delle aventi diritto ammonti al 40,6%. La differenza tra i dati è addebitabile a diversi fattori: scarsa conoscenza dei diritti; capacità contributiva insufficiente; disparità nei sistemi di sicurezza sociale; controlli inadeguati; pratiche discriminatorie; lavoro nero ed esclusione sociale.
 
Il congedo di paternità, invece, è diventato, nell’ultimo ventennio sempre più diffuso e questo costituisce un indicatore dell’importanza strategica del riequilibrio dei ruoli all’interno dei nuclei familiari, e dell’evoluzione della tutela genitoriale inizialmente appiattita sulla figura della madre e del nascituro. Nel 1994, le disposizioni di legge sul congedo di paternità esistevano solo in 40 dei 141 Paesi considerati; oggi sono 78 (sebbene nella generalità dei casi ammonti solo ad un paio di giorni pagati dal datore di lavoro).
 
Il congedo parentale, invece, è riconosciuto in 66 Paesi, ma sebbene sia disponibile sia per i padri che per le madri, sono però quest’ultime nella quasi totalità dei casi a richiederlo.
 
La discriminazione in ragione della maternità, in merito alla quale si è evidenziato il proliferare del mobbing a essa legato, è aumentata con la crisi economica e costituisce un fenomeno ancora largamente diffuso a livello globale. Dei 165 Paesi, per i quali erano disponibili dati in merito, tutti, tranne una ventina, prevedono nel proprio ordinamento divieti espliciti contro la discriminazione basata su gravidanza e congedi, che si sostanziano normalmente nel divieto di licenziamento in tali periodi. Tale previsione risulta però meno efficace atteso che, in più della metà dei Paesi analizzati (il 56 % per un totale di 82), il diritto di rientrare nel proprio posto di lavoro, che dovrebbe essere connaturato a quello al congedo di maternità, trattandosi di un’interruzione temporanea del rapporto, non è garantito.
 
Per quanto attiene ai rischi sul luogo di lavoro per la salute della donna e del nascituro, nel 49% dei 160 Paesi considerati, esistono disposizioni che vietano ai datori di lavoro di impiegare le donne in gravidanza o durante l’allattamento in lavori pericolosi; tra questi poco più della metà (84) prevedono l’adibizione a mansioni alternative. Inoltre, 116 su 156 Paesi (74%) non riconoscono diritti a permessi per assentarsi dal lavoro per l’assistenza sanitaria prenatale. Questo tipo di permessi è, infatti, particolarmente raro nei Paesi a basso reddito, nonostante l’OMS abbia raccomandato dal 2008 almeno quattro visite mediche durante la gravidanza.
 
Per quanto attiene all’allattamento, la legislazione prevede pause specifiche nel 75% dei 160 Paesi valutati, e tutti tranne il 4% dispongono che siano pagati; un aumento questo significativo dato che nel 1994 erano solo il 37%.
 
In riferimento all’Italia, l’ILO ritiene positiva l’introduzione del congedo di paternità, in ottica di riequilibrio dei ruoli genitoriali, sebbene costituisca solo una prima “timida” apertura (un giorno obbligatorio e due facoltativi, fruibili in “sostituzione” del congedo materno); particolarmente apprezzata, poi, la misura che consente alle madri di rinunciare al congedo parentale (sei mesi di astensione dal lavoro al 30% della retribuzione), in cambio di voucher da spendere per una baby sitter o un nido, che è stata definita «politica innovativa tesa a promuovere il ritorno delle donne sul posto di lavoro, consentendo di soddisfare le responsabilità legate alla cura del bambino». Dall’altra parte, in termini di effettivo contrasto a pratiche discriminatorie, l’ILO ha considerato, invece, inadeguata la disciplina contro il fenomeno delle “dimissioni in bianco”, addirittura aumentato del 9% dal 2011 al 2012, nonostante la nuova normativa in materia introdotta con la Riforma Fornero (l’ILO considera i risultati emersi dal Rapporto annuale sulla convalida delle dimissioni di lavoratrici madri e padri, del Ministero del lavoro, 2012; va considerato comunque che la l.n. 92/2012 ha esteso la platea dei soggetti tutelati) e ha richiesto espressamente al governo italiano di adottare misure aggiuntive più efficaci.
 
Nonostante i miglioramenti rilevati, quindi, la sfida per l’ILO verso una piena, diffusa ed efficace tutela della genitorialità, con eliminazione di ogni forma discriminatoria ad essa connessa, è ancora lunga. Per raggiungere il citato obiettivo, priorità della propria agenda politica è aumentare la consapevolezza circa i benefici socio-economici della protezione della maternità e della paternità e dei provvedimenti sulla conciliazione famiglia-lavoro.
 
L’ILO indica una duplice strada da seguire. Da una parte: creare un clima favorevole al dialogo sociale su questi temi; dall’altra, promuovere la contrattazione collettiva, strumento attraverso il quale i lavoratori e i datori di lavoro possono concordare una “flessibilità regolata”, che consenta ai primi di meglio bilanciare tempi di lavoro con responsabilità di cura, andando incontro allo stesso tempo alle esigenze produttive e organizzative aziendali.
 
Per estendere in modo efficace la protezione della maternità e le misure di work-life balance, occorre investire in meccanismi di monitoraggio, procedendo al rilevamento statistico costante della misurazione del lavoro di cura non retribuito, che è prerequisito necessario affinché esso sia riconosciuto, apprezzato e sostenuto come “bene pubblico”.
 
Al fine invece di contrastare le pratiche discriminatorie è strategico un sistema giudiziario accessibile, efficiente e improntato sulla certezza del diritto, munito di organico adeguato e competente; cui devono aggiungersi ovviamente sanzioni dissuasive, come la reintegrazione, e l’onere della prova a carico del datore di lavoro, in caso di licenziamento discriminatorio per maternità.
 
Si sottolinea poi che le politiche lavoro-famiglia costituiscono un driver importante anche nel raggiungimento di un’effettiva parità di genere e il livello della spesa pubblica in materia non deve abbassarsi durante i periodi di recessione economica, dal momento che queste misure agiscono come stabilizzatori sociali, creando posti di lavoro nel settore dell’assistenza e promuovendo pari opportunità per le donne nell’accesso a un lavoro di qualità .
 
Ad ogni buon conto i servizi per l’infanzia sul posto di lavoro devono integrare analoghe prestazioni finanziate a livello pubblico, e non sostituirsi ad esse, perché il concorrere dei due è interventi, è utile soprattutto per le PMI. Oltre a ciò è importante una mirata informazione e sensibilizzazione sulle buone prassi e sui relativi benefici in termini di produttività, così come quei servizi che forniscono consigli pratici ai datori di lavoro, che si occupano di questioni specifiche in merito.
 
Infatti, per conseguire risultati concreti, le politiche legislative devono agire sui comportamenti sociali tradizionali, incoraggiando attivamente il passaggio verso un modello in cui gli uomini agiscano come genitori attivi, piuttosto che quali aiutanti dei loro partner femminili. L’aumento dei padri che usufruiscono di un congedo parentale determina effetti positivi per la crescita del minore e al contempo aumenta la probabilità che le donne rientrino al lavoro dopo la maternità, contribuendo a migliorare le aspettative dei datori di lavoro in relazione alle interruzioni di carriera delle donne. Ciò consente, quindi, di avvicinare il raggiungimento di una parità di trattamento effettiva. Una combinazione di misure che può essere utile, in questo senso, sono: periodi di astensione obbligatoria; congedi flessibili e ben retribuiti; “quote padre” (cioè , i singoli diritti non trasferibili, per l’utilizzo specifico di periodi di ferie da parte dei padri); e incentivi fiscali ben progettati.
 
Il diritto a un equilibrio tra famiglia e lavoro costituisce elemento fondamentale della qualità del lavoro. Il luogo di lavoro deve contribuire a diffondere la cultura di sostegno alle pratiche di genere “trasformative”, riconoscendo il ruolo degli uomini come padri, così come la funzione capo-famiglia delle donne, unitamente al fatto che tutti i lavoratori ed anche i datori di lavoro sono o possono potenzialmente diventare care giver, a causa dei cambiamenti demografici, che stanno determinando il sempre maggiore invecchiamento della popolazione.
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Rosita Zucaro
Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo
@RositaZucaro 
 
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