Garanzia Giovani: il flop anche del premio a risultato e del bonus occupazionale

Il flop ampiamente previsto ed annunciato della Garanzia Giovani rivela un altro clamoroso flop, che si sta facendo passare piuttosto sotto silenzio. Si tratta dell’illusione che la fantasmagorica “premialità” possa essere la leva capace di indurre i servizi privati per il lavoro a supplire alle carenze del pubblico, e riversare nel sistema efficienza ed efficacia nelle politiche del lavoro.
 
La progettazione prevede una serie di incentivazioni a premio (che per altro in molte Regioni sono state riservate esclusivamente ai soggetti privati), nell’ipotesi di incontro domanda offerta di tirocini o lavori veri e propri. Nel caso di incontro domanda/offerta il “premio” agli intermediatori va dai 600 euro, per il caso di un contratto a tempo determinato o in somministrazione dai 6 ai 12 mesi per giovani con una buona spendibilità nel mercato, ai 3000 euro per il caso di contratto a tempo indeterminato per giovani con più elevate difficoltà nel mercato.
Per quanto concerne i tirocini, la remunerazione a risultato da dai 200 euro per il caso di giovani con buona spendibilità, ai 500 euro per i giovani con maggiori difficoltà nel mercato.
 
Il dispositivo prevede che l’erogazione della remunerazione a risultato avvenga solo alla stipulazione del contratto di lavoro o della convenzione di tirocinio. Non vi è, dunque, alcuna remunerazione per le attività preliminari, tra le quali i colloqui di orientamento col giovane, i contatti con l’azienda, la formulazione del progetto formativo nel caso di tirocinio, l’assistenza ai colloqui, la preselezione ed altro.
 
Il risultato, almeno in Veneto, è netto e per nulla clamoroso: praticamente nessun soggetto privato, né autorizzato, né accreditato a livello regionale, ha presentato alcun progetto, nell’ambito della Garanzia Giovani, per attivare incontri domanda/offerta finalizzati al lavoro o ai tirocini.
 
I premi per il risultato sono, infatti, per un verso aleatori, per altro verso certamente scarsamente remunerativi, specie per chi deve impiantare da zero una struttura volta ad intercettare oltre all’offerta (e qui sarebbe anche piuttosto semplice, visto che i giovani iscritti sono 260.000 circa, molti meno degli oltre 2 milioni di Neet, ma comunque tali da formare una massa critica), anche la domanda, allestire gli sportelli, avere l’orientatore, l’esperto di incontro domanda/offerta, il progettista, il tutor, e tutte le altre figure specialiste ed amministrative necessarie.
 
Si assiste, dunque, ad una conferma: il premio a risultato non può essere la leva che fa muovere i soggetti privati. I quali, in quanto tali, perseguono il profitto e, dunque, non sono vocati alla gestione di un servizio pubblico che dovrebbe essere universale e, dunque, garantito a prescindere dalla sua rimuneratività, ed, anzi, erogato proprio in quanto pubblico e finanziato da risorse pubbliche.
 
Un sistema premiale basato solo sull’effettiva erogazione del premio al solo risultato dell’inserimento lavorativo (per i tirocini, l’incentivo è talmente basso che, verosimilmente, nessun privato sarà mai attratto), potrebbe solo attivare atteggiamenti speculativi di qualche agenzia di somministrazione: in presenza di una domanda di un cliente (dunque, non un’opportunità creata da Garanzia Giovani, ma una normale domanda degli ordinari rapporti commerciali, che, dunque, vi sarebbe stata lo stesso) in presenza della possibilità di avviare un Neet già presente nelle proprie banche dati e di un contratto “lungo”, potrebbe far passare quella che sarebbe stata una somministrazione tra le tante, come un’assunzione dovuta a Garanzia Giovani e puntare all’incentivo come remunerazione ulteriore. Non è, tuttavia, così che il sistema possa funzionare. Ed, infatti, non funziona.
 
Garanzia Giovani evidenzia che il premio per il risultato non può concentrarsi esclusivamente sull’inserimento lavorativo o in tirocinio, perché i costi di gestione delle attività svolte comunque non possono non essere coperti.
 
È, dunque, sbagliata in radice l’idea che l’incentivo sia collegabile esclusivamente alla stipulazione dei contratti di lavoro. Se il sistema vuole agganciare all’attività dei centri per l’impiego pubblici quella dei soggetti privati, non può che agire nel rispetto delle normali logiche di mercato e regole dell’esternalizzazione. I privati non possono che realizzare interventi aggiuntivi rispetto ai soggetti pubblici, mediante attività che debbono essere standardizzate nella qualità, modulazione e strumentazione, nonché remunerate in base a prezzi standard.
 
Il “premio” non deve scattare all’evento, comunque incerto, dell’inserimento in azienda. I soggetti, tanto pubblici, quanto privati, “garantiscono” il giovane, come ogni altro disoccupato, già quando dopo averlo preso in carico, gli forniscono l’opportunità lavorativa inserendolo in una rosa di preselezionati: spetta, poi, ovviamente al datore scegliere il lavoratore (a meno che non affidi anche questo compito al soggetto di cui si avvale per l’incontro domanda/offerta).
Il premio, allora dovrebbe scattare solo quando, accertato che il soggetto in un certo arco di tempo ha contribuito all’avviamento al lavoro o a tirocinio (ma anche a formazione) di un certo numero di disoccupati, avvii, nell’ambito di un certo progetto come Garanzia Giovani, un numero maggiore e solo per i contratti di lavoro ed i tirocini “ennesimi”. Oppure, quando concluda positivamente la presa in carico con un’offerta valutabile come finalizzata all’aumento dell’occupabilità o delle opportunità lavorative, prima del tempo massimo previsto, come premio per l’accelerazione.
 
Ma, in mezzo tra l’attivazione ed il premio, occorre remunerare anche le attività. Altrimenti, i soggetti privati non si muovono.
Risulta, dunque, illusorio pensare che risorse private possano supplire alla carenza di investimenti pubblici, nella gestione efficiente dei servizi per il lavoro.
Garanzia Giovani ne è la prova inconfutabile. Altrettanto inconfutabile è, poi, che qualsiasi progetto speciale o azione ordinaria volta all’incontro domanda/offerta se punta solo sulla seconda, non produce alcun effetto benefico.
 
Garanzia Giovani, come è noto, oltre a prevedere il sin qui inutile premio a risultato per gli enti privati, disciplina anche un bonus occupazionale per le imprese che assumono, fino a 6000 euro.
L’errore commesso, però, è di non aver collegato il bonus occupazionale ad un obbligo per le aziende di rendere evidente e trasparente la propria domanda di lavoro, condizionandolo, quindi, ad un comportamento del datore volto a rendere conoscibile il proprio fabbisogno lavorativo. Che sarebbe proprio ciò che manca nel mercato del lavoro italiano, caratterizzato dalla totale opacità della domanda di lavoro, causa principale, poi, del livello basso di intermediazione sia pubblica sia privata.
 
Per muovere il mercato, per altro, ovviamente, asfittico a causa della crisi, occorrerebbe indurre le imprese a rendere evidente la loro domanda. Ma, Garanzia Giovani, da questo punto di vista, è un fallimento totale, come dimostra l’esiguità estrema delle domande di lavoro presenti nel portale, per altro quasi tutte null’altro che il link a proposte lavorative già presenti in Clic Lavoro o portali delle agenzie di somministrazione.
 
Insomma, gli errori di impostazione del progetto Garanzia Giovani sono evidenti e appaiono il riflesso, tutto sommato, del sistema distorto del mercato del lavoro in generale presente in Italia.
I correttivi sono evidenti: estendere il servizio universale, ma con investimenti che non possono remunerare solo il risultato finale; indurre la domanda a manifestarsi quanto più possibile, condizionando i bonus occupazionali di qualsiasi genere alla pubblicità delle domande di lavoro nei sistemi pubblici di incontro domanda offerta.
 
Un terzo, ma prioritario, correttivo è necessario: l’investimento in risorse. Finché l’Italia nei servizi per il lavoro investe 500 milioni l’anno, a fronte dei 9 miliardi della Germania o gli 8,5 miliardi della Francia; finché l’investimento complessivo nelle politiche del lavoro resta di 20 miliardi, a fronte dei 47 della Germania e dei 50 della Francia; finché la spesa per lavoratore intermediato in Italia supera di poco gli 8000 euro, mentre è di circa 16000 in Germania, 21000 in Francia, 44000 in Danimarca, 51000 in Olanda (si veda Lo stato dei Servizi pubblici per l’impiego in Europa: tendenze, conferme e sorprese, Isfol, Occasional Paper marzo 2014, n. 13), ben difficilmente lo stato delle cose potrà cambiare.
 
Luigi Oliveri
Dirigente Coordinatore Area Servizi alla Persona e alla Comunità
Provincia di Verona
@Rilievoaiace
 
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Garanzia Giovani: il flop anche del premio a risultato e del bonus occupazionale
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