Fuortes, i licenziamenti e il caos dell'Opera: l'«Aida» sarà annullata

L’Aida, che il 27 novembre avrebbe dovuto aprire la stagione dell’Opera di Roma, non si farà. Impensabile spendere un milione di euro, e in più con il problema di trovare il sostituto di Muti. Non si sa, insomma, a chi passare il cerino acceso, e infatti non si sta cercando nemmeno un altro direttore.
 
I privilegi di quel teatro? La diaria, ad esempio: per una trasferta nella stessa città, Salisburgo, i musicisti di Santa Cecilia hanno avuto gli 80 euro previsti in Italia per i pasti, all’Opera ne pretendevano 160. Ieri sono state mandate le lettere di avviso sulla procedura del licenziamento collettivo di 182 persone, tra orchestra e coro. «È l’estremo tentativo di modificare un sistema che ha privilegiato scarsa produttività, clientelismo, sprechi e deficit in continuazione, fino ai quasi 3o milioni di buco», afferma il sovrintendente Carlo Fuortes.
 
È la sua prima intervista dopo la clamorosa decisione assunta dal cda. «L’85,5 per cento del bilancio del teatro, nel 2013, è stato a carico dei contribuenti, pari a 55 milioni».
 
A pagare saranno però anche i lavoratori del teatro che erano favorevoli all’accordo sul risanamento
 
«Mi spiace molto, ma non è una questione di buoni e cattivi. Era l’unica scelta (l’alternativa era la chiusura) che un cda responsabile potesse fare. Cambiare in modo strutturale è un’opportunità».
 
Ma è giusto che paghi solo la base e non chi in passato ha portato il teatro al disastro?
 
«È una cosa di cui si parlerà nel prossimo cda, così come dell’Aida. Ci sarà una seria riflessione se è H caso di fare un investimento così grosso, col debito che abbiamo ereditato, senza la presenza di Muti».
 
Le 14 Fondazioni lirico-sinfoniche hanno proclamato lo stato di agitazione: «Se non siamo uniti moriremo tutti»
«L’indebitamento delle Fondazioni è di 392 milioni. Così non si può andare avanti. Siamo alle porte di un cambiamento storico. Il ministro Franceschini è stato chiaro: si va verso i contratti a termine, con le masse artistiche dentro i teatri. Un nuovo modello organizzativo. Roma però fa caso a sé, perché la terapia d’urto ora prevede l’esternalizzazione, orchestra e coro si riuniranno in una forma giuridica che potrà essere una cooperativa. A Roma la cura è estrema per il male estremo del teatro. Un professore d’orchestra lavora in media 125 giorni l’anno. Le spese del personale, di 34 milioni, sono pari al 61 per cento del totale dei costi di produzione: è il livello più elevato fra tutti i teatri lirici italiani. Il costo per famiglia ai romani, sia che vengano sia che non vengano, è pari a 30 euro».
 
Come garantire la qualità?
 
«Il Rigoletto del 21 ottobre prevede 72 orchestrali. Sulla base delle regole in materia di alternanza, per malattie e aspettative, ho firmato 34 contratti aggiuntivi: metà dell’orchestra sarà composta da esterni. Le sembra garanzia di qualità? Ho anche firmato 21 autorizzazioni per permessi artistici esterni al teatro. Nell’ultimo anno sono stati 912. Non sono impiegati ma musicisti. Questa flessibilità arreca al teatro solo costi».
 
Aumenterà la produttività?
 
«È un dovere: i contributi statali dal 2015 si basano sulla produttività. Se produci meno, diminuiscono i fondi. Per avere lo stesso stipendio dovranno lavorare il 20 per cento in più».
 
Gli altri sovrintendenti, a parte Bianchi a Firenze, solidarizzano con i lavoratori
 
«Non mi ha sorpreso. Qualsiasi altro cda avrebbe scaricato sulla collettività le perdite. Noi abbiamo fatto una scelta coraggiosa e di responsabilità. C’è un’enorme ipocrisia nella valutazione di questa vicenda. Quando vai in perdita ti lanciano addosso gli strali. Se all’interno della legge cerchi di trovare una soluzione, diventi un distruttore della cultura».
 
Quando le hanno gridato «vergogna»…
«E una cosa faticosa da sopportare. Non mi era mai capitato. Muti? Ha dimostrato, durante la Manon Lescaut, una forza e una determinazione mai viste in un artista. Io, fossi stato in lui, non avrei retto alle minacce di sciopero selvaggio. Ero convinto che avrebbe lasciato. E il secondo grande direttore, dopo Sinopoli, che ha dovuto abbandonare l’idea di far crescere questo teatro. Ora stiamo tentando la rinascita».
 
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