Fine del lavoro, una notizia fortemente esagerata

Will Machines Devour Man? (“Le macchine divoreranno l’uomo?”). Era il il 1921 e il New York Times titolava così la recensione di un libro di R. Austin Freeman, ritratto degli uomini sottomessi nell’era delle macchine. Qualche anno dopo, 22 ottobre 1931, il quotidiano americano riportava gli stralci di un discorso tenuto da Albert Einsten a Berlino in cui lo scienziato metteva in guardia dall’automazione che avrebbe significato «sempre meno lavoro da parte degli individui per soddisfare i bisogni della comunità».

L’incubo della «disoccupazione tecnologica» ha agitato le paure dell’Occidente fin dagli anni Venti del Novecento, al punto che nel 1939 Henry Ford, il padre dell’automazione, sentì il bisogno di un lungo editoriale sul New York Times per rassicurare gli americani sui benefici che lo sviluppo tecnologico avrebbe portato con sé.

Un secolo dopo, la fine del lavoro è di nuovo la grande paura collettiva. Società private della Silicon Valley sperimentano il reddito universale per far fronte a un futuro di disoccupazione su vasta scala. In Europa partiti e movimenti politici conquistano consensi avanzando ipotesi simili. Ma il lavoro finirà davvero o la fine del lavoro è una bolla intellettuale?…

 

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