Educare alla creatività per affrontare le sfide della grande trasformazione del lavoro

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Al giorno d’oggi osserviamo una progressiva digitalizzazione che corre a velocità esponenziale, mentre la scuola sembra sempre in ritardo sulle trasformazioni del mondo del lavoro. Quali potenzialità della persona sono chiamate in causa da questi fenomeni? Il lavoro portato dentro la scuola può essere l’occasione del loro sviluppo? Nel nostro mondo “liquido” (Bauman) e dell’Industry 4.0 l’obsolescenza tecnologica è ormai inferiore ai cinque anni, e le competenze tecniche richieste dal mondo del lavoro sono quindi sempre meno raggiungibili nell’arco della formazione scolastica; se ciò che era direttamente agito dalla persona è progressivamente sostituito da macchine in grado anche di raffinare da sé i propri processi (machine learning); se i fattori di raccolta e selezione dei dati avvengono tramite algoritmi anche quando si tratta di assumere risorse umane (cfr. E. Dagnino, People Analytics: lavoro e tutele al tempo del management tramite big data, Labour & Law Issues, [S.l.], v. 3, n. 1, p. I. 1-31, apr. 2017. ISSN 2421-2695.); cosa emerge come fattore umano specifico e insostituibile? Uno di questi fattori riteniamo sia la creatività (cfr. F. Seghezzi, La nuova grande trasformazione, ADAPT University Press, 2017, p. 21). Intendiamo per creatività quella capacità di attivare la propria genialità, attingendo alla propria modalità di vedere e pensare che è in grado di proporre esperienze, idee, soluzioni, intuizioni, visioni che hanno un fondamentale denominatore comune: non sono il puro esito logico dei processi antecedenti, sono salti, discontinuità della conoscenza e della produzione.

 

L’invenzione infatti non appartiene alla natura del processo digitale, che essendo ontologicamente fondato su una sequenza di dati, non può che produrre complicazioni, raffinamento, perfezionamento, ma mai un salto di natura conoscitivo-creativa. Gödel e Penrose hanno dimostrato che i fondamenti stessi della matematica sono di natura non-computazionale: non sono dimostrabili attraverso calcoli, ma appartengono ad un nostro basilare comprendere il mondo grazie al quale abbiamo consapevolezza dei numeri naturali, senza bisogno di calcoli (cfr. F. Savoldi, M. Ceroni, L. Vanzago, La coscienza, Aras, Fano 2013, p. 673). Il processo dell’invenzione (dal latino inveníre, trovare) non si sviluppa infatti per deduzione logica, né per induzione intuitiva, bensì come interpretazione originale di molti fattori formanti un problema. Tale processo è peculiare della mente umana, ed è infatti esso che ha dato origine al prodigio di strumenti poi divenuti macchine automatiche che potenziano parti di questo processo ma non lo incarnano nella sua totalità. Tale processo richiede infatti anche l’uso della libertà in molti sensi: la capacità di abbandonare un’idea certamente sensata e utile per una che si presentasse solo promettente; una fiducia nella propria sensibilità e capacità di valutazione; richiede l’accettare di riorganizzare i paradigmi di ragionamento in presenza di un imprevisto, il senso di responsabilità e l’assunzione del rischio nel tentativo…e molte altre cose che sarebbe difficile descrivere per intero. Kant ha chiamato questo processo «immaginazione produttiva», C. S. Peirce lo ha chiamato «abduzione» (cfr. C. Di Martino, La conoscenza è sempre un avvenimento, in A. Savorana, La conoscenza è sempre un avvenimento, Mondadori Università, 2009): l’andare dal segno al significato che sta a fondamento del muoversi della ragione; noi lo chiamiamo “creatività” in quanto in qualche modo crea qualcosa che in precedenza non era deterministicamente prevedibile. Senza dover chiamare in causa Michelangelo o Leonardo, possiamo osservare questo processo in ogni grande e piccola invenzione di cui è costellata la vita dell’uomo che si trova davanti ai problemi. Pe fare solo un esempio: quando Bialetti vide le lavandaie che utilizzavano due catini sovrapposti di cui quello superiore con il fondo bucato attraverso cui risaliva la schiuma della “lisciva” (misto di cenere e sapone) ebbe la visione della caffettiera per tutti: la Moka.

 

Quando e come un ragazzo può essere posto in presenza di problemi che richiedano “creatività”, invenzione, capacità di formulazione di ipotesi? Che la conoscenza abbia una natura “creativa” può far irrigidire molta cultura dell’insegnamento di tipo trasmissivo, fondata sul paradigma logico-verticale del sillogismo aristotelico dove la verità delle premesse non è mai né ipotizzata né scoperta; mentre può trovare più consanguineità con chi sta introducendo e sviluppando (soprattutto in area angloamericana) i concetti di pensiero laterale (De Bono) e divergente (Robinson). Senza dover propendere per uno schieramento si osserva come alla crescita della persona appartengano tutti i metodi del pensiero, ed occorre domandarsi: come può essere adeguatamente sviluppata la persona nel suo complesso? L’esperienza mostra come di fronte a problemi reali, interessanti, compromettenti e rischiosi, tutte le facoltà della persona siano più facilmente risvegliate: il lavoro è il luogo proprio di questi problemi ed esso rappresenta la preziosa occasione che l’alternanza introdotta dall’ultima riforma offre oggi alla scuola. Quando il ragazzo sia infatti dentro un rapporto educativo che gli permetta di usare ogni occasione come scoperta di sé in azione, qualunque azione sarebbe formativa ed educativa, tanto più se reale e carica di conseguenze come quelle che le situazioni lavorative presentano. Tale affermazione proviene da un periodo di osservazione e coinvolgimento nella scuola professionale Oliver Twist di Cometa Formazione di Como dove in quanto dottorando della Scuola ADAPT dell’Università di Bergamo sto svolgendo l’internship. In questa scuola professionale gli studenti sono incaricati di una “commessa”, una richiesta cioè che proviene da un cliente reale, per la quale gli studenti sono chiamati a ideare, progettare, realizzare e valutare i prodotti o servizi. La scuola-azienda consta di tre settori professionali: ristorazione, falegnameria, arredo tessile. Come avviene il coinvolgimento della creatività nei processi di produzione? La conoscenza non può essere trasmissiva nel momento in cui il problema sia la produzione di qualcosa che ancora non esiste e sarà un “pezzo unico”: sia esso un mobile, un tessuto o un evento di ristorazione.

L’ideazione è quindi la parte fondamentale di questo metodo, ed essa fa leva su ciò che in questa scuola viene spesso denominata come l’unicità di ogni studente. Si intende con questa parola la singolare natura della persona, che porta di per sé un contributo originale. L’utilità e la ricchezza di questo contributo è data infatti insieme alla sua stessa natura di essere umano unico e irripetibile. In forza di questo si propone a tutti gli studenti, come primo prodotto, un moodboard in cui ognuno è propone immagini e parole quali fonti di ispirazione, tratte dalla propria esperienza e dal brand della scuola-azienda. Quanto più infatti si conosce se stessi e la propria sensibilità, tanto più ci si può riconoscere o immedesimare nell’identità del l’azienda in cui si lavora. Spesso la profondità e le implicazioni di significato di questi moodboards superano di gran lunga la consapevolezza dello studente nel momento in cui li realizza, ma il cammino di dialogo che il responsabile (stilista e designer) instaura con ognuno dei ragazzi porta a quella stima della propria “unicità” che è ritenuta elemento basilare di una crescita come persone e come professionisti. Le commesse, che vengono affidate appena compiuto questo primo passo, sono l’occasione per il rafforzarsi del metodo descritto: tutti può essere fonte di ispirazione per un prodotto originale se parte da una osservazione della realtà consentanea ad una stima della propria unicità nel vederla.

 

Per concludere questo primo contributo sul tema, possiamo osservare che nell’era di Google si pone radicalmente in questione una scuola basata sulla didattica trasmissiva di conoscenze, mentre si vede come sia sempre più urgente una figura che guidi lo studente alla scoperta di sé nel coinvolgimento con un compito reale sensato, in cui possa giocare tutta la sua ricchezza e creatività. Quest’ultima ha bisogno di partire dalla ricchezza del reale che ci è dato (il “passato”) ma anche di quella capacità di visione personale che crea il nuovo. Nuove domande chiedono uno sviluppo, ne citiamo due: come possiamo fare in modo che la creatività venga fatta emergere dal di dentro del processo di apprendimento didattico? Come l’esperienza lavorativa può essere la chiave per il recupero creativo di tutta la cultura che ci precede?

 

Francesco Fornasieri

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@f_fornasieri

 

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