Dolcetta (Confindustria) "Bene la riforma del lavoro, ora avanti con coraggio"

«Il quadro di riferimento del Jobs act va in una direzione che consideriamo positiva. Ma occorre il coraggio di andare avanti: l’Italia ha un problema di competitività, il mondo cambia, non possiamo avere regole che appartengono al passato». Stefano Dolcetta, vice presidente di Confindustria per le relazioni industriali, commenta la riforma del mercato del lavoro, approvato alla Camera. Dopo il passaggio al Senato, serviranno i decreti attuativi. «Sarà un banco di prova importante per l’efficacia della riforma. Da parte nostra, vogliamo spronare il governo a proseguire con determinazione, la situazione economica è molto difficile non è il momento per abbassare l’asticella del compromesso».
 
La riforma introduce il contratto a tutele crescenti, è un modo per rendere più flessibile e più conveniente il contratto a tempo indeterminato, come Confindustria chiedeva?
Non esattamente, anche se può diventare nel tempo un elemento di flessibilità e può ridurre il ricorso ai contratti a tempo determinato. Il limite però è che si crea una nuova tipologia contrattuale, un fattore che può generare confusione, perché le nuove regole si applicano solo ai nuovi assunti. Perché possa essere esteso a tutta la platea dei lavoratori passeranno anni. Sarebbe stato meglio cambiare le regole per tutti.
 
Soluzioni possibili?
Se questa novità sarà accolta positivamente e aiuterà l’occupazione stabile, allora sarebbe utile proseguire in questa direzione e applicare anche ai vecchi contratti le soluzioni individuate per quelli a tutele crescenti, in modo da rendere più rapido il passaggio dal vecchio al nuovo sistema.
 
Resta aperta la questione degli indennizzi nel caso dei licenziamenti individuali: le cifre che girano sono più alte della media europea…
Saranno definiti nei decreti di attuazione della delega e come si dice il diavolo si nasconde nei dettagli. Meglio essere prudenti. Stiamo comunque parlando di cifre che dovranno indennizzare un licenziamento per motivi economici e penso che il punto di riferimento possa essere ciò che accade nei paesi europei. Va assolutamente evitato un aumento dei costi attuali.
 
C’è anche l’ipotesi di evitare che le controverie finiscano davanti al giudice: è una buona soluzione per stringere i tempi e dare più certezze?
L’idea è positiva, ci sarebbe certezza dei tempi e si eviterebbero le lungaggini dei tribunali. Ma appunto si deve trovare un giusto equilibrio. Ci tengo a sottolineare che le imprese licenziano quando sono costrette. Bisogna tenerlo presente perché altrimenti si finisce per far pagare alle imprese i costi del compromesso politico sull’articolo 18.
 
La riforma tocca di nuovo anche il tema degli ammortizzatori: qual è il vostro obiettivo?
Un mercato del lavoro più dinamico, che rilanci le politiche attive, per creare occupazione. Gli ammortizzatori sociali hanno attenuato le ricadute occupazionali della crisi ma il loro uso improprio ha ritardato i processi di ristrutturazione di molte imprese e quindi ha penalizzato la competitività del nostro sistema produttivo. Non ha senso una cassa integrazione che duri per anni anche laddove non c’è possibilità di ripresa. Le risorse vanno bilanciate tra politiche passive di tutela e i servizi o per il lavoro o per la ricollocazione. Nella delega c’è anche questa parte, certamente la più difficile da affrontare vista la situazione di crisi. Sarà impegnativo ma non mi pare si possa sfuggire il problema.
 
È una partita lunga, quindi, ancora…
Si giocherà anche nei prossimi mesi. Ed è importante, appunto, che si prosegua avendo in mente la necessità delle aziende di essere più flessibili, più competitive, di ridurre i costi. Il taglio dell’Irap e gli sgravi contributivi per chi verrà assunto a tempo indeterminato il prossimo anno, potrebbero generare una “fiammata occupazionale” e favorire la trasformazione in contratti a tutele crescenti di un numero significativo di contratti a termine. È un obiettivo importante, da perseguire però con gli incentivi economici e normativi senza cedere alla tentazione di limitare la flessibilità caricando di costi i contratti a termine.
 
 
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