Dizionario breve sul welfare aziendale a cura di ADAPT e AIWA

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Definizione

Il welfare integrativo rientra nella macrocategoria del welfare sussidiario in quanto va a completare e rafforzare degli istituti cardine predisposti dallo Stato per tutelare particolari diritti dei lavoratori.

Infatti, tenendo conto che nel nostro modello sociale il principale (una volta l’unico) erogatore di welfare è lo Stato, il welfare integrativo si è sviluppato come l’insieme delle soluzioni di welfare che completano il servizio statale, in tutti gli ambiti di per sé, ma soprattutto nei due assi principali della spesa sociale: sanità e previdenza.

 

Di cosa parliamo

Parlando di welfare integrativo si fa dunque riferimento a tutto il sistema di integrazione delle prestazioni erogate dallo Stato e, tra tutte, quelle che hanno maggiore rilievo pratico, sono quelle legate al SSN e agli enti di previdenza obbligatori.

Proprio al fine di integrare queste due colonne dell’azione statale sono stati creati, attraverso la contrattazione collettiva a livello nazionale e di categoria, dei Fondi a cui i lavoratori si iscrivono volontariamente o sono iscritti automaticamente, a seconda della disciplina prevista nei vari contratti collettivi, e ai quali versano un contributo al fine di poter usufruire delle prestazioni che esse offrono.

Di regola è il lavoratore a destinare una quota a questi fondi, la contrattazione nazionale può stabilire come è avvenuto per i metalmeccanici, che sia il datore di lavoro a versare i contributi in luogo del dipendente oppure attraverso la contrattazione a livello aziendale, si può stabilire che, le somme che altrimenti sarebbero state a carico del lavoratore, vengano pagate dall’azienda come benefit erogato ai propri dipendenti.

Proprio a rafforzamento di questa buona prassi frutto di virtuose relazioni industriali, il legislatore è intervenuto con la Legge di stabilità n.232 dell’11 dicembre 2016, modificando l’art.51 del TUIR che disciplina il reddito da lavoro dipendente. Con questa Legge il legislatore ha ampliato una possibilità già prevista dallo stesso art.51 cioè quella per il datore di pagare come welfare il contributo che il lavoratore avrebbe versato a fondi pensionistici o di assistenza sanitaria integrativa ottenendo un vantaggio per sé e per il lavoratore stesso in termini fiscali.

Infatti ora, con la L.232 del 2016 è consentito al lavoratore di trasformare in tutto o in parte il proprio premio di produzione in welfare, escludendolo dal calcolo del reddito da lavoro dipendente, ma soprattutto non sottoponendolo ad alcuna tassazione d’impresa. Il vantaggio è per entrambi, datore e lavoratore, in quanto tutto ciò che viene erogato come premio di risultato viene utilizzato dal lavoratore senza alcuna trattenuta e il vantaggio è anche dello Stato che, attraverso una defiscalizzazione, indirettamente, va ad incidere nel welfare complessivo a disposizione del lavoratore.

 

Il welfare integrativo nella contrattazione collettiva

L’esempio più noto, già citato sopra, di welfare integrativo in ambito sanitario è indubbiamente il Fondo Mètasalute dei Metalmeccanici, la cui contribuzione è divenuta con il rinnovo contrattuale del 2016, obbligatoria e a totale carico dell’azienda.

Non mancano, tuttavia, esempi di contratti aziendali che hanno deciso di investire nel campo del welfare integrativo.

In particolare, per quanto riguarda la previdenza complementare, nonostante la quota obbligatoria minima di versamento contributivo prevista dai contratti nazionali di settore si aggiri generalmente intorno al 3-4% della retribuzione, gli accordi aziendali intervengano per erogare sotto forma di welfare un incremento delle risorse da destinare alla previdenza complementare. Ad esempio, nel gruppo Intesa Sanpaolo nella cassa di previdenza del personale della Cassa di risparmio di Padova e Rovigo (Cariparo) il datore di lavoro versa il 5% e i lavoratori possono versare da un minimo dello 0,61% ad un massimo del 14% della retribuzione.

Nell’ambito dell’assistenza sanitaria integrativa, oltre ad una forte diffusione dei fondi sanitari integrativi aziendali, è ravvisabile una tendenza, in sede di contrattazione integrativa aziendale, ad incrementare la quota di contribuzione ai fondi sanitari fissata dai contratti nazionali, in sostituzione almeno parziale degli incrementi salariali.

Un esempio è dato dall’impresa farmaceutica Angelini, che nell’accordo aziendale ha previsto per il 2011 una riduzione del premio di produttività, rispetto al 2010, da 2.070 euro a 1.900 euro lordi, compensato però dall’estensione ai familiari dei lavoratori della copertura sanitaria offerta dal fondo di categoria Faschim, totalmente a carico dell’azienda.

 

Il welfare bilaterale è regolato tanto dalla contrattazione nazionale quanto da quella di secondo livello.

 

Riferimenti normativi

– Artt. 51 e 100, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR)

– Legge n.232 dell’11 dicembre 2016

 

L’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate

– Agenzia delle Entrate, Circolare n. 28/E, 15 giugno 2016

 

Riferimenti bibliografici

– Daniele Grandi, Elementi di previdenza complementare e assistenza sanitaria integrativa, ADAPT University Press 2014;

– E. Massagli, Le novità in materia di welfare aziendale in una prospettiva lavoristica, in M. Tiraboschi (a cura di), Le nuove regole del lavoro dopo il Jobs Act, Giuffrè, Milano 2016;

– G. Mallone, Il secondo welfare in Italia: esperienze di welfare aziendale a confronto WP-2wel 3/13;

– L. Beretta, V. De Luca, F. Parente, S. Vitiello (a cura di), Il welfare aziendale dalla teoria alla pratica, n.68 Commissione Lavoro, I Quaderni della Scuola di Alta Formazione S.A.F Luigi Martino.

 

Per una analisi empirica della contrattazione collettiva

– AA.VV., La contrattazione collettiva in Italia, III Rapporto Adapt, Adapt University Press, 2016

 

Giulia Tiberi

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo – ADAPT

@giulia_tiberi

 

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