Dimensione e qualità dei contratti. Spunti e riflessioni dall’analisi Cnel-Inps

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Bollettino ADAPT 29 luglio 2019, n. 29

 

Il 17 luglio u.s., presso la sede del CNEL, è stato presentato il frutto di una lunga analisi condotta, congiuntamente, dal tanto bistrattato ente di viale Davide Lubin e dall’INPS.

 

Detto che la condivisione di una mole rilevante di informazioni, reperite dall’archivio nazionale dei contratti e dai flussi mensili Uniemens, già di per se, rappresenta nel nostro panorama una situazione tanto inedita quanto di buon auspicio per il futuro, i risultati evidenziati dalle relazioni accompagnatorie e, soprattutto, dal report provvisorio, segnano un evento particolarmente rilevante nell’ambito lavoristico, forse, troppo poco considerato rispetto al suo reale valore.

 

In estrema sintesi, oltre un faticoso lavoro di analisi (analisi cessazioni e confluenze contrattuali) e coordinamento (abbinamento codici contratti), i documenti testé menzionati e disponibili sul sito del CNEL, ci restituiscono due pregevoli informazioni: Il numero di aziende e di lavoratori a cui viene applicato concretamente, nel settore privato, un determinato contratto collettivo nazionale di lavoro.

 

Ancora più significativo è il fatto che i dati, oggettivi e di sostanziale attendibilità, vengano consegnati all’interno di una ben precisa griglia organizzativa, suddivisa in 13 macro-settori (agricoltura, chimici, meccanici etc.), 5 comparti  contrattuali (industria, piccole e medie imprese, artigiani, cooperative e dirigenti), con breve descrizione dei destinatari del C.C.N.L. di riferimento ed evidenza delle organizzazioni, sindacali e datoriali, stipulanti.

 

Al netto dell’effetto “quadro sinottico”, per comprendere le reali potenzialità di questa prima tappa di approfondita indagine, occorre fare un passo indietro, tenendo ben a mente il contesto di riferimento.

 

Invero, due delle principali criticità sistemiche del diritto del lavoro italiano, sovente – ma non sempre appropriatamente – affrontante in modo indistinto, riguardano, l’una, l’efficacia soggettiva degli accordi, limitata causa la mancata applicazione dei commi da 2 a 4 dell’art. 39 Cost., l’altra, la coeva “costellazione”, nel diritto positivo, di norme di rinvio (talvolta come “parametro” talvolta, come “fonte regolatrice”) alla contrattazione delle organizzazioni maggiormente ovvero comparativamente più rappresentative, pur in assenza di criteri certi per la loro individuazione e, comunque, sempre in presenza di una libertà sindacale, esplicitamente  sancita al comma 1 del precetto costituzionale anzidetto.

 

Le conseguenze di tale habitat giuridico, di fatto mai penetrato dai pur numerosi tentativi12 di autoregolamentazione dei corpi intermedi, sono state la proliferazione, spesso non genuina, delle intese e l’assoluta mancanza di certezza, nonostante il prodigarsi di giurisprudenza e prassi ministeriale3, degli interlocutori sociali ritenuti idonei ai sensi di legge.

 

Ecco che in questa “selva oscura”, in attesa di conoscere le sorti del disegno di legge4 sul salario minimo che istituzionalizzerebbe i criteri di misurazione confederali e di poter apprezzare – a seguito dell’annunciato via libera ministeriale – i dati associativi sindacali già in possesso dell’ente di previdenza, uno spiraglio di luce, un primo appiglio concreto per gli operatori, sembra essere offerto proprio da quell’ente, che per un soffio è scampato all’oblio.

 

Effettivamente, soprattutto ascoltando le parole degli oratori (fra gli altri i Presidenti Treu e Tridico), la diffusione della contrattazione collettiva, in termini numerici e comparabili, sembra potersi interpretare come parametro certo e più consono all’individuazione della reale rappresentatività delle organizzazioni.

 

A ben vedere, se pacifica si ritiene l’esistenza di una differenza sostanziale fra i concetti di rappresentanza, intesa come esercizio di altrui diritto individuale, e rappresentatività, vista come forza di aggregazione e di coordinamento “degli interessi dei vari gruppi professionali, di sintesi delle varie istanze rivendicative e di raccordo con i lavoratori non occupati5, allora, l’evidenza di essere riusciti a rendere nota e far applicare, indipendentemente dal metodo (per associazione, adesione esplicita o implicita) le proprie determinazioni economico/normative frutto di trattativa sindacale, sembra costituire indice idoneo a palesare il requisito, almeno pari a quello del semplice “tesseramento”.

 

Lato pratico, attingendo dal report, come potrà legittimare la sua rappresentatività comparativa un soggetto, che nella medesima “cella” del C.C.N.L. sottoscritto da Unionmeccanica, FIM, FIOM e UILM (33.569 aziende e 364.544 lavoratori), produce contratti di diritto comune, applicati da sole 23 aziende e 202 lavoratori sull’intero territorio nazionale? L’indifferenza della società alle sue azioni, non evidenzia forse una carenza di forza contrattuale e, di riflesso, di capacità rappresentativa?

 

Ribadito che trattasi di elaborati precari, suscettibili – per esplicita richiesta –  di osservazioni e integrazioni, che i limiti delle categorie di comparazione sono alla fase embrionale, che la loro definizione rappresenterà un problema di non poco conto e che dunque, ancora non può parlarsi di lista dei buoni e dei cattivi, sicuramente l’intento è meritorio, oltre a rappresentare una prima risposta all’anomalia tutta italiana del reciproco riconoscimento6.

 

In conclusione, considerata la funzione antitrust, a tutela del mercato, della regolamentazione collettiva e la sua attitudine a soddisfare quel “bisogno di continuità e certezza sconosciuto alla normale vicenda del contratto” individuale, le quotidiane cronache di dumping contrattuale, o peggio, di sfruttamento del lavoro, dovrebbero imporre una collettiva presa di coscienza, retta a indirizzare le proprie azioni, le proprie libere scelte, anche mettendo a frutto, nell’immobilismo legislativo, il lavoro di ricerca e studio prodotto, talvolta, da chi proprio non ti aspetti, da quelle – apparentemente – inutili istituzioni.

 

Federico Avanzi

Consulente del lavoro

 

1 Testo Unico sulla Rappresentanza – Confindustria, Cgil, Cisl e Uil 10 gennaio 2014

2 Testo Unico sulla Rappresentanza – Confcommercio, Cgil, Cisl e Uil 26 novembre 2015

3 Ministero del Lavoro Interpello 27/2015

4 DDL Catalfo n. 658/2018

5 Corte Costituzionale n. 30 del 1990

6 SWD(2016) 81 final – Box 2.4.1

 

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