Diario di viaggio nel mercato agricolo della Capitanata/8 – Collocamento in agricoltura e caporalato: storia e intrecci

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Bollettino ADAPT 24 gennaio 2022, n. 3

 

Questo diario accompagna il percorso di studio sulla rappresentanza dei lavoratori stranieri in Provincia di Foggia condotto dall’autrice nell’ambito del dottorato di ricerca svolto in apprendistato presso la Fai Cisl di Foggia come operatore sindacale.

 

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È del 10 dicembre l’ultima indagine sul caporalato della Procura di Foggia denominata “Sotto padrone”, che ha visto indagate 16 persone per intermediazione illecita e sfruttamento della manodopera in agricoltura. La pratica è sempre la stessa: lavoratori provenienti da un ghetto vengono reclutati mediante l’intermediazione di un caporale, che si occupa per l’azienda agricola anche dell’erogazione del pagamento, solitamente difforme dalla retribuzione stabilita dal contratto collettivo provinciale. Il sistema è ben noto e, come accennato nei numeri precedenti di questa rubrica, ha radici lontane e si intreccia anche con la travagliata storia del collocamento in agricoltura.

 

Manifestazione della Fisba Cisl*

 

Nel Tavoliere di Puglia, il caporalato, come distorsione del sistema di reclutamento della manodopera, emerge sin dalla seconda metà dell’Ottocento, quando le trasformazioni nella produzione agricola (e in particolare, la diffusione della cerealicoltura e della vite) determinarono un aumento della domanda di braccia da lavoro, superiore all’offerta del territorio. In Capitanata, il caporale emerse quindi dall’esigenza di organizzare le migrazioni dei contadini in alcuni periodi dell’anno e di governare il mercato del lavoro e il suo ruolo era richiesto e accettato socialmente. Questa considerazione positiva della figura del caporale emerge chiaramente dai racconti contenuti nel volume di Giovanni Rinaldi e Paola Sobrero (Rinaldi, G., Sobrero, P., La memoria che resta: vita quotidiana, mito e storia dei braccianti nel Tavoliere di Puglia, Aramirè, Lecce, 2004) in cui si narra di un caporale, rispettato da tutti, che trasportava manodopera da Bari a Cerignola per la piantagione delle vigne e che sarebbe poi diventato tra i primi capi della lega bracciantile di Cerignola.

 

Dagli anni ’70, con le grandi trasformazioni del mercato agricolo della Capitanata, dalle nuove produzioni al tramonto del movimento bracciantile, e con l’avvento delle grandi migrazioni prima dall’Est Europa e poi dall’Africa, il caporale è diventato progressivamente elemento strutturale nell’organizzazione del lavoro in provincia di Foggia. E ciò è avvenuto nonostante sia oggi diffusa una percezione più negativa della sua figura, a causa della stretta connessione con il grave sfruttamento lavorativo e la riduzione in schiavitù emersa in numerose inchieste.

 

Lavoratori sui campi di lavoro*

 

L’affermarsi di questa gestione informale e illecita del collocamento ad opera dei caporali va di pari passo con il malfunzionamento del sistema di collocamento definito per legge, in un mercato del lavoro peculiare per la sua instabilità e frammentazione. Come argomentato da Lagala (Lagala, C., Collocamento in agricoltura, Digesto, Utet, 1989), infatti, già il fallimento della legge 83 del 1970, che dopo decenni di divieto di intermediazione privata, aveva riconosciuto un ruolo importante nella gestione dell’avviamento al lavoro ai sindacati, può essere attribuito non solo alla prevalenza della richiesta numerica di forza lavoro (che non ammettendo la libera individuazione dell’operaio da parte del datore di lavoro, spezzava la continuità del rapporto fiduciario, che si veniva a creare, pur nella discontinuità delle attività lavorative, tra imprenditore e lavoratore) e alle scarse competenze dei rappresentanti sindacali presenti nelle commissioni per la manodopera agricola, ma anche all’ineffettività (per via delle scarse sanzioni previste) dell’obbligo da parte delle aziende di presentazione dei piani colturali annuali. Questi, nelle aree caratterizzate da forte mobilità di manodopera (per via dalle trasformazioni del settore legate alla produzione e raccolta dei prodotti ortofrutticoli) come la Capitanata, avrebbero dovuto far luce sul fabbisogno qualitativo e quantitativo di manodopera e quindi permettere alle istituzioni preposte di soddisfarlo adeguatamente. Ma la presentazione, solo in minima parte, dei piani colturali e quindi la scarsa consapevolezza da parte dei soggetti autorizzati dei reali fabbisogni aziendali, favorirono uno spostamento di manodopera gestito esclusivamente dai caporali. Se da un lato, questi colmarono il vuoto lasciato dalle pubbliche istituzioni, dall’altro diventarono presto una grave piaga sociale soprattutto per gli aspetti di sfruttamento selvaggio ai danni della manodopera femminile.

 

Oggi, dopo l’approvazione della legge 608 del 1996 e con le novità introdotte dal comma 9 dell’art. 1 della L. 81/2006, il datore di lavoro che vuole assumere un bracciante agricolo alle sue dipendenze, può farlo direttamente comunicando l’ingaggio per via telematica all’Inps. Ai Centri per l’Impiego è invece demandato il compito di promuovere l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Tuttavia, in provincia di Foggia, a fronte di oltre 41.000 operai agricoli iscritti negli elenchi anagrafici e non tenendo conto degli operai che lavorano in modo irregolare, i Centri per l’Impiego sono solo 7 (dislocati a Foggia, Ascoli Satriano, Cerignola, Lucera, Manfredonia, San Severo, Vico del Gargano) con appena 75 operatori e non sono noti dati precisi sugli incroci tra domanda e offerta di lavoro effettivamente raggiunti.

 

Rignano Garganico (Foggia)*

 

Le problematiche e inefficienze del collocamento in agricoltura sopra descritte hanno spinto le parti sociali, specie negli ultimi anni, a tentare di mettere in campo iniziative volte a contrastare il fenomeno dell’intermediazione illecita, governando l’incontro tra domanda e offerta di lavoro nella provincia. Di questi progetti e attività, si darà conto nel prossimo numero di questa rubrica.

 

Francesca Di Credico

Scuola di Dottorato di ricerca in Apprendimento e Innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@dicredicofra

 

*Foto credit: Francesca Di Credico

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