Dalla comunicazione preventiva alla tracciabilità: è questa la via per evitare l’abuso dei voucher?

In occasione del clamore suscitato dai dati relativi all’impennata dei voucher – con importo pari ad 115 milioni nel solo 2015 – e da alcune inchieste giornalistiche sull’abuso dell’istituto, lo scorso marzo il Ministero del lavoro ha annunciato, entro il prossimo giugno, l’emanazione di un decreto volto a garantire la cd. “tracciabilità” dei buoni lavoro.

 

L’art. 49, c. 3, d. lgs. n. 81/2015 prevede che il committente, prima dell’inizio della prestazione di lavoro accessorio, comunichi per via telematica alla Direzione territoriale del lavoro competente i dati anagrafici ed il codice fiscale del lavoratore, nonché il luogo della prestazione in relazione ad un arco temporale non superiore ai trenta giorni successivi. In base a quanto annunciato dal Ministero, i correttivi contenuti nel decreto in via di approvazione dovrebbero consentire che la comunicazione de qua precisi anche il periodo di fruizione della prestazione, delimitandone la data di inizio e di fine.

 

Occorre infatti precisare che l’obbligo di comunicazione gravante sul committente imprenditore/professionista presenta una scansione temporale piuttosto elastica, nei fatti rendendola possibile fino al giorno stesso in cui il lavoratore inizia la sua attività: è solo accedendo al portale Inps – tuttora incaricato di gestire la procedura, come da nota direttoriale del 25 giugno 2015, prot. 0003337, nelle more dell’attivazione della procedura telematica sul lavoro accessorio introdotta proprio con il d. lgs. n. 81 cit. – che il committente “associa” al carnet di buoni lavoro il nominativo del prestatore, il quale in seguito riscuote l’importo contenuto nel titolo di credito esibito, detratto quanto dovuto per contributi, copertura infortuni e costi di gestione.

 

Fino a quel momento, i voucher acquistati sono solo potenzialmente riferibili ad una determinata prestazione di lavoro, diventando atto – tanto per scomodare concetti aristotelici – solo a seguito del loro incasso da parte di quel lavoratore che ha eseguito quella prestazione che ne ha motivato l’acquisto. Tuttavia, questa formazione progressiva del rapporto di lavoro non è riuscita a sottrarsi a casi di utilizzo non sempre rispettoso dei presupposti normativi: il campionario varia da un numero maggiore di ore lavorate rispetto a quelle coperte con i buoni lavoro, e quindi pagate “in nero”, a rapporti di lavoro totalmente sconosciuti alla Pubblica Amministrazione, in assenza di “associazione” tra voucher e lavoratore attraverso la predetta comunicazione preventiva, a quest’ultima attivata per un numero inferiore di giorni rispetto a quelli in concreto lavorati, o, infine, a comunicazioni di avvio della prestazione accessoria coincidente, guarda caso, con il giorno di infortunio del lavoratore.

 

La memoria corre indietro fino al 1° gennaio 2007, al momento in cui, a fronte di un copioso numero di lavoratori “in nero” infortunatisi il medesimo giorno di inizio dell’attività lavorativa – che all’epoca poteva essere comunicata fino a cinque giorni successivi al suo avvio – per tutti i settori produttivi la comunicazione obbligatoria di instaurazione del rapporto di lavoro è stata anticipata al giorno antecedente l’occupazione, come peraltro già previsto per l’edilizia dall’agosto 2006. Nel caso del lavoro accessorio, tuttavia, la comunicazione preventiva non si è rivelata sufficiente, sia perché l’obbligo può essere adempiuto fino al giorno stesso della prestazione – con l’eventualità che, in assenza di accertamenti ispettivi, il committente ometta di effettuarla, occupando e retribuendo così “in nero” il lavoratore – sia per la caratteristica assunta dal lavoro accessorio a seguito delle modifiche che lo hanno riguardato.

 

Infatti, la l. n. 92/2012, nel liberalizzare il ricorso all’istituto, ne ha fissato l’impiego in relazione vuoi a parametri economici, consistenti nell’importo massimo percepibile dal lavoratore tramite voucher, vuoi a presupposti numerici, dati dall’«”ancoraggio” di natura oraria parametrato alla durata della prestazione stessa, così da evitare che un solo voucher, attualmente del valore di € 10, possa essere utilizzato per remunerare prestazioni di diverse ore», come segnalato dal Ministero del lavoro, circolare del 18 gennaio 2013, n. 4, invitante il personale ispettivo a verificare la corretta corrispondenza tra i voucher associati ad un determinato lavoratore e la durata della prestazione effettivamente resa.

 

Tuttavia, consapevole delle caratteristiche di elasticità e flessibilità assegnate all’istituto dal legislatore del 2012 – ed esaltate dal d. l. n. 76/2013, conv. in l. 99/2013 mediante l’abrogazione dell’occasionalità della prestazione –, il predetto documento di prassi ha chiarito che, in relazione alla numerazione progressiva dei buoni ed alla data loro assegnata, quest’ultima vada «intesa come un “arco temporale” di utilizzo del voucher non superiore ai 30 giorni decorrenti dal suo acquisto» (enfasi ministeriale, ndA), posto che «Una diversa interpretazione, infatti, renderebbe assai difficile e oltremodo oneroso per il committente formalizzare preventivamente le singole giornate e la quantità dei voucher da attribuire ad ogni lavoratore, in particolare in alcuni settori ove la effettuazione e la quantificazione della prestazione è condizionata da fattori esterni, anche di carattere climatico, di difficile prevedibilità».

 

Peraltro, a causa dei necessari adattamenti al sistema telematico indotti dalla comunicazione di utilizzo del lavoro accessorio, «nelle more della definizione delle procedure in questione (telematiche e cartacee, ndA), si ritiene che possano trovare ancora applicazione le previgenti indicazioni che non limitano temporalmente l’utilizzabilità dei voucher acquistati, ferme restando le nuove limitazioni di carattere economico», come ribadito dal Ministero del lavoro, nota del 18 febbraio 2013, prot. 37/0003439 (enfasi ministeriale, ndA).

 

In buona sostanza, poiché il lavoro accessorio – pur orfano dei requisiti soggettivi ed oggettivi previsti dalla legge Biagi che l’ha introdotto e, dal 2013, privo del suo carattere occasionale – , resta uno strumento per sua natura elastico e flessibile, volto a soddisfare non strutturali esigenze lavorative del committente offrendo al contempo una secondaria fonte di reddito al lavoratore, l’orientamento di prassi è stato nel senso di tentare un (difficile) equilibrio tra la conservazione della ratio dell’istituto ed il contrasto dell’abitudine, piuttosto diffusa su scala nazionale, di deformare gli strumenti giuridici per finalità non proprio lodevoli.

 

La scelta del legislatore del Jobs Act, quindi, è consistita nella prosecuzione dell’indicato orientamento di prassi a fronte dell’innalzamento dell’importo netto erogabile tramite voucher, benché l’annunciato intervento correttivo sulla disciplina del lavoro accessorio testimoni l’inefficacia delle misure fin qui adottate.

 

Se, appunto, la prossima modifica restringerà l’arco temporale della comunicazione preventiva di utilizzo di lavoro accessorio ad un inizio ed una fine, l’innesto potrebbe richiamare quanto introdotto dalla l. n. 92/2012 per il contratto a chiamata, prevedendo che il datore di lavoro effettui una comunicazione prima dell’impiego di detta tipologia contrattuale, fermo restando che «In assenza di modifica o annullamento della comunicazione già inoltrata è da ritenersi comunque effettuata la prestazione lavorativa per i giorni indicati, con le relative conseguenze di natura retributiva e contributiva», come precisato dal Ministero del lavoro, circolare del 18 luglio 2012, n. 18 (enfasi ministeriale, ndA).

 

Tuttavia, mentre per il lavoro intermittente è stato possibile, in assenza di rettifica/annullamento della comunicazione, imputare al datore di lavoro l’obbligo retributivo e contributivo riferito al periodo dichiarato a prescindere dall’effettivo svolgimento della prestazione, trattandosi di una rapporto di lavoro subordinato – con orario di lavoro, minimale retributivo e contributivo definiti già al momento della comunicazione obbligatoria di assunzione –, non sarà agevole assicurare il medesimo effetto per il lavoro accessorio, stante il predetto perfezionamento progressivo del rapporto di lavoro in essere. Peraltro, il lavoro accessorio, essendo tertium genus rispetto alla dicotomia subordinazione/autonomia, legittima il pagamento con voucher di qualsiasi attività lavorativa, inibendo altresì l’indagine ispettiva sulla modalità esecutiva della prestazione se eseguita entro i limiti economici stabiliti dal legislatore (cfr. Ministero del lavoro, lettera circolare del 22 aprile 2013, cd. Vademecum l. n. 92/2012).

 

Avendo il Governo già precisato di non voler modificare la disciplina dell’istituto, la tenuta andrà di conseguenza cercata tra la tracciabilità dei voucher e la conservazione della vocazione alla flessibilità del loro impiego.

Insomma, una scommessa tutta da vincere.

 

Giovanna Carosielli

Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo

@GiovCarosielli

 

Scarica il PDF pdf_icon

 

Dalla comunicazione preventiva alla tracciabilità: è questa la via per evitare l’abuso dei voucher?
Tagged on: