Dal rinnovo al MiSE: metalmeccanici e politica alla prova della comunicazione pubblica 

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Bollettino speciale ADAPT 25 febbraio 2021, n. 1 

 

Non si può certo dire che la sigla dell’ipotesi di rinnovo del ccnl dell’industria metalmeccanica e dell’installazione di impianti, siglato lo scorso 5 febbraio 2021, abbia avuto la stessa magnitudine comunicativa dei suoi precedenti storici. Di quello che, almeno nelle parole di tutte le parti firmatarie, è un rinnovo di svolta, non si è parlato molto. Lo mostra la scarsità di commenti e analisi sulla stampa nazionale (si veda l’analisi di Fernando Liuzzi su Il Diario del lavoro) e lo riconoscono anche gli stessi firmatari (si veda la nostra intervista a Rocco Palombella). 

 

Un effetto dovuto da un lato a quella stessa pandemia che avrebbe dovuto esaltare l’importanza di una firma che fino a pochi mesi prima sembrava molto lontana, dall’altro dalla concomitante crisi di governo. Argomenti che hanno vampirizzato scalette televisive e menabò digitali appiattendo l’attenzione dell’informazione prima sulle proteste e sulle difficoltà delle parti sociali (a scapito delle loro proposte e delle loro buone pratiche) e incidentalmente sul loro ruolo politico. ll rinnovo è comparso quindi perlopiù quà e là nelle note politiche in virtù del suo valore di biglietto da visita per le parti sociali in vista delle consultazioni con il Presidente del Consiglio Incaricato Mario Draghi (valore non certo negato dalle parti firmatarie che lo hanno anzi sottolineato a più riprese, anche nelle interviste condotte da Adapt). 

 

A ciò si aggiunga il fatto che il dilungarsi dei vuoti nelle negoziazioni tra sindacati, Federmeccanica e Assistal abbia portato il settore metalmeccanico non ad aprire e trainare la stagione dei rinnovi post- pandemici, bensì a chiuderla. Una stagione contrassegnata dalla aspra divergenza di vedute tra Confindustria e sindacati confederali circa l’interpretazione da dare alla politica salariale definita dal c.d. Patto per la fabbrica. Divergenza esplosa quindi non nella “vertenza principe” dei metalmeccanici, ma in quella degli alimentaristi; a partire dalla mancata firma del rinnovo da parte di alcune associazioni aderenti alla federazione di settore di Confindustria (Federalimentare), la quale aveva giustificato la scelta con il rispetto del Patto per la fabbrica (ossia, nell’interpretazione di Viale dell’Astronomia, aumenti salariali basati solo sull’inflazione). Da lì in avanti lo scontro era proseguito anche, se non soprattutto, a mezzo stampa, raggiungendo l’apice con la discussa lettera del Presidente di Confindustria Bonomi, interna ma riportata il 28 agosto da tutti i principali quotidiani, che invitava le associazioni aderenti non a rifiutare di firmare contratti -come accusavano i sindacati rivendicando invece l’autonomia accordata dal Patto per la fabbrica ai diversi settori-, ma a firmarne di “rivoluzionari”, con testi che si differenziassero rispetto al “vecchio scambio di inizio Novecento tra salari e orari”.

 

Bonomi aveva formulato paradossalmente quelle parole forse proprio per smarcarsi dal tema salariale, visto che nel frattempo diversi rinnovi siglati in vari settori del manifatturiero (dal legno-arredo al vetro passando per la nicchia delle spazzole e pennelli fino ad arrivare alla panca delle tenebre pandemiche del tessile-moda) si erano chiusi con aumenti dei minimi tabellari incongruenti rispetto alla dinamica inflattiva

 

Nella narrazione conseguente quello dei metalmeccanici è diventato allora solo l’ultimo dei rinnovi a sconfessare l’interpretazione confindustriale del Patto per la fabbrica, risuonando al più come l’ultima recitazione della litania nel sistema Confindustria e contribuendo così a far retrocedere ulteriormente l’avvenimento nelle classifiche della notiziabilità. 

 

Le parti firmatarie la pensano diversamente. Dopo la gincana comunicativa (si legga la ricostruzione di  Serena Bergamaschi, Francesca Di Credico e Cecilia Leccardi, CCNL metalmeccanici, la comunicazione sindacale nella gincana delle tre crisi) che le ha viste attraversare fasi di alta tensione, culminate con lo sciopero indetto dai sindacati il 5 novembre (già favorito dalla “distrazione mediatica” , si veda al riguardo la dettagliata ricostruzione di Rocco Palombella che spiega come il sindacato fosse consapevole dei rischi correnti) il rinnovo è stato facilitato dalla scelta di Federmeccanica e Assistal di imperniare sul tema della riforma del sistema di classificazione e inquadramento del personale una loro proposta finalizzata alla riapertura del tavolo. Una materia già contemplata dalla piattaforma sindacale avanzata un anno prima, ma affrontata nel dettaglio nella proposta delle due datoriali con una iconica rimozione del primo livello di inquadramento e con un particolare investimento comunicativo (messaggi sui social, comunicato stampa e cura del dettaglio linguistico – “Un contratto nazionale per il lavoro”). 

 

Un aspetto quindi dall’alto valore di simbolo, anche in senso etimologico: ciò che unisce. Che permette oggi cioè a tutte le parti firmatarie di parlare di un rinnovo storico se non rivoluzionario, come ha avuto a chiamarlo in una recente intervista a Repubblica proprio il presidente di Confindustria Carlo Bonomi. 

 

Della diatriba sul Patto per la fabbrica, almeno nella comunicazione pubblica delle parti, non c’è insomma più traccia. E anzi tutte sottolineano come il rinnovo si collochi all’interno delle linee guida definite dal controverso accordo confederale siglato nel 2018. Anche perché Federmeccanica e Assistal possono ben dire che gli aumenti dei minimi tabellari oltre l’andamento dell’IPCA si spiegano in buona parte con la riforma degli inquadramenti, di cui possono intestarsi la costruzione. Potendo tra l’altro precisare alle loro rappresentate (come si può ascoltare anche nelle interviste di Stefano Franchi e Angelo Carlini) che la riclassificazione dei lavoratori avverrà senza un aggravio di costi. I sindacati, a prescindere dal ruolo determinante o meno della riforma degli inquadramenti, possono invece rivendicare uno degli aumenti medi più elevati tra i rinnovi già chiusi, sintetizzato nei 112 euro per il quinto livello. 

 

Ciò non significa certo che il rinnovo del ccnl metalmeccanici del 2021 sia da accogliere come una piallatura delle visioni sindacali dei cinque firmatari. Sotto l’arco del trionfo teso tra inquadramento e salario convivono infatti valutazioni sfumate, quando non contrapposte, del significato che le innovazioni introdotte dal contratto rivestono. Basti pensare che Francesca Re David ci tiene a sottolineare come il rinnovo abbia ribadito la centralità del salario orario, in antitesi con la visione confindustriale del “vecchio scambio novecentesco” e anzi osservando che la riforma dell’inquadramento fa salva la solida architettura del 1973, ora arricchita. Fiom invita inoltre a considerare il salario come una componente da non confondere da quella composta da flexible benefits (importante soprattutto laddove non ci sia contrattazione aziendale) e welfare integrativo. Roberto Benaglia interpreta la riforma degli inquadramenti come uno strumento per iniziare a ripensare le modalità di misurazione del valore del lavoro in base alle professionalità, riscontra la consapevolezza degli iscritti che il contratto non è solo salario, e propone di guardare agli elementi economici extra-salariali come mezzi di tutela collettiva che si adeguano di volta in volta ai bisogni individuali. Rocco Palombella, oltre a rivendicare il ruolo della sua organizzazione nell’aver tenuto alta la linea sulla cifra degli aumenti da ottenere, ricorda come la riforma degli inquadramenti costituisca un adeguamento agli sviluppi dei ruoli e delle mansioni strutturando una cornice all’interno della quale le aziende, che operano nei 10 diversi comparti interessati dal contratto (dalla cantieristica, alla siderurgia, passando per l’indotto automotive, gli elettrodomestici, la carpenteria pesante…) possano trovare gli strumenti per la loro organizzazione del lavoro. 

 

Quest’ultimo aspetto sollevato dal segretario della Uilm, è quello che più direttamente rimanda alle ragioni di quella che sarà la visibilità pubblica dei sindacati dei metalmeccanici nei prossimi mesi. Ragioni che, come spesso accade sui media e a maggior ragione con i riflettori puntati sul prossimo “disgelo” dei licenziamenti, riguardano il loro coinvolgimento in molte delle più celebri crisi aziendali aperte sul territorio italiano. Basti pensare all’ex Ilva di Taranto, a Whirlpool, a Bekaert in Toscana, Ast a Terni, Embraco in Piemonte (quest’ultima con i 400 licenziamenti annunciati il giorno seguente la sigla del rinnovo del ccnl). 

 

Se cioè la comunicazione del rinnovo scelta dalle parti avrà effetti positivi in termini non solo di reputazione presso l’opinione pubblica, ma anche di adesione dei lavoratori, si potrà capire solo nel lungo-medio periodo (ben oltre cioè la probabile convalida da parte delle assemblee dei lavoratori). Nel breve periodo invece ciò dipenderà da come i sindacati sapranno muoversi nei contesti dove sono gioco-forza più esposti mediaticamente. 

 

E proprio in questo contesto che i metalmeccanici, forse loro malgrado,  si troveranno a giocare un ruolo politico. Qualcosa di più di un semplice biglietto da visita. Perché se alla guida del Ministero del Lavoro troviamo oggi Andrea Orlando, vicesegretario del Partito Democratico, impegnato nel ristabilire il dialogo del suo partito con le rappresentanze dei lavoratori, alla guida del Ministero dello Sviluppo Economico, dove si animano i più di cento tavoli di crisi aziendale aperti, c’è Giancarlo Giorgetti; dirigente di quella Lega che, stando ai sondaggi di Ipsos di dicembre 2020, ha tra i suoi elettori non solo una buona fetta di imprenditori, ma soprattutto la maggioranza degli operai

 

La soluzione all’orizzonte, che dovrebbe favorire la ricerca di un inedito percorso comune tra Pd e Lega, è quella della selettività per settori nella prossima proroga del blocco (o sblocco, a seconda dei punti di vista) dei licenziamenti. Ma non è difficile capire che si tratti di un precario equilibrio e che le interferenze politiche potrebbero mettere in difficoltà l’unità d’azione dei metalmeccanici. Con il rischio che, complici le forzature della cronaca, il rinnovo dei metalmeccanici del 2021 passi alla storia come una vittoria di Pirro. 

 

Francesco Nespoli

Assegnista di ricerca
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

@Franznespoli

 

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