Corte di giustizia europea: anche i cittadini dei Paesi terzi hanno diritto all’Assegno familiare

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Con sentenza del 21 giugno 2017 (causa C-449/16), la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha dichiarato illegittima la normativa italiana in tema di concessione dell’assegno a favore di nuclei familiari con almeno tre figli minori (ANF), laddove essa non prevede che possano essere destinatari dell’ANF cittadini di paesi terzi titolari di un permesso unico di lavoro e soggiorno. La Corte ha ritenuto la normativa italiana in contrasto con il principio di parità di trattamento nei settori della sicurezza sociale, affermato a beneficio dei lavoratori dei paesi terzi dall’art.12, paragrafo 1, lettera e) della direttiva 2011/98/UE, recante disposizioni in materia di domanda per il rilascio di un permesso unico di soggiorno e lavoro, nonché un insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno stato membro.

 

La sentenza afferma dunque il principio per cui il cittadino di un paese non UE, titolare di un permesso unico di lavoro in uno Stato membro, beneficia delle prestazioni di sicurezza sociale previste per i cittadini di tale Stato.

 

Il caso trae origine da un rinvio pregiudiziale della Corte d’Appello di Genova, adita da una cittadina di un paese terzo, residente nel capoluogo ligure e titolare di un permesso unico di lavoro di durata superiore ai sei mesi. La ricorrente impugnava un’ordinanza del Tribunale di Genova che la dichiarava soccombente, a seguito della presentazione di un’azione civile contro la discriminazione avverso INPS e Comune di Genova. Presso il Tribunale la signora aveva inteso ottenere il riconoscimento della propria spettanza all’ANF, oltre che il pagamento di quanto dovutole per il 2014, dopo che INPS e Comune avevano rigettato la sua domanda in sede amministrativa, essendo lei priva del permesso per soggiornanti di lungo periodo.

 

La Corte d’Appello ha rilevato diversi profili di incompatibilità con il diritto dell’Unione dell’art. 65 della legge n. 448/1998. In particolare viene in rilievo la disposizione di cui all’art.12, paragrafo 1, lettera e) della direttiva 2011/98/UE, relativa al diritto alla parità di trattamento, fra gli altri per i cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini lavorativi a norma del diritto dell’Unione o nazionale. La direttiva in questione è stata recepita nel nostro ordinamento con decreto legislativo del 4 marzo 2014. L’ANF invece, che già dal 2000 non è più destinato unicamente ai cittadini italiani, a partire dal 2013 è stato esteso ai titolari di un permesso di soggiorno di lungo periodo, oltre che ai cittadini di Stati membri dell’Unione, ai loro famigliari e ai titolari dello status di rifugiato.

La Corte d’Appello di Genova ha deciso allora di sospendere il procedimento, per sottoporre alla Corte di Giustizia UE due questioni pregiudiziali. In primo luogo, ha chiesto se l’ANF costituisse una “prestazione familiare” ai sensi del combinato disposto dell’articolo 1, lettera z) e dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera j) del regolamento n. 883/2004, riguardante il coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale. Il Tribunale di Genova infatti aveva respinto le richieste della ricorrente, anche affermando che detto regolamento non comprendeva gli assegni alimentari entro le prestazioni di sicurezza sociale a carico della collettività: perciò rispetto a tali assegni non poteva invocarsi alcun principio di parità di trattamento o divieto di discriminazione. Il Tribunale, infatti, aveva ritenuto riconducibile l’ANF solo alle prestazioni di “assistenza” sociale, e non anche a quelle di “sicurezza” sociale. In secondo luogo, qualora l’ANF fosse qualificato quale prestazione di “sicurezza” sociale, la Corte d’Appello chiedeva se il principio di parità di trattamento sancito dall’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98/UE non ostasse a una normativa, come quella italiana, in base alla quale un lavoratore di paese terzo in possesso di “permesso unico per lavoro” (avente durata superiore ai sei mesi) non poteva beneficiare del suddetto assegno.

 

Con riferimento alla prima delle due questioni pregiudiziali, i giudici europei hanno affermato innanzitutto che il nomen iuris, attribuito dal legislatore nazionale ad un istituto giuridico, deve ritenersi irrilevante ai fini della definizione concettuale dell’istituto stesso rispetto alla disciplina unionale. Poco importa se l’ANF sia qualificato o meno come prestazione di “sicurezza” sociale entro la normativa italiana: occorre piuttosto guardarne finalità e presupposti. E poiché l’ANF viene attribuito ai beneficiari prescindendo da ogni valutazione individuale e concreta delle loro esigenze personali, caratteristica della “assistenza” sociale, e invece viene attribuito sulla base di criteri e obiettivi definiti in generale dalla legge, esso va definito come prestazione di “sicurezza” sociale, diretta ad alleviare gli oneri derivanti dal mantenimento dei figli.  Di conseguenza, esso può ritenersi perfettamente riconducibile alla categoria della “prestazione alimentare” di cui alle norme del regolamento n. 883/2004.

 

Risolto in questi termini il primo problema interpretativo, i giudici della Corte di Giustizia hanno affrontato la seconda questione pregiudiziale, concernente il rispetto del principio di parità di trattamento: se negare del tutto l’ANF ai titolari di un permesso unico ai sensi dell’articolo 2, lettera c), della direttiva 2011/98/UE, rappresentasse una discriminazione. La Corte di Giustizia ha riconosciuto che i titolari del permesso sono destinatari della disciplina di tutela contenuta nella direttiva: in particolare, essi beneficiano nei settori della sicurezza sociale del principio di parità di trattamento, affermato all’articolo 12, paragrafo 1, lettera e). Se è vero che ai sensi dell’articolo 12 possano essere richieste delle eccezioni da parte degli Stati membri, la Corte ha precisato che l’Italia non ha mai chiaramente affermato l’intenzione di avvalersi di tali deroghe, essendo peraltro la normativa italiana sull’ANF antecedente al recepimento della direttiva 2011/98/UE.

 

L’atteggiamento generale europeo sui temi connessi alla pronuncia in commento è complesso: è un dato oggettivo che la protezione di persone e lavoratori nell’Unione Europea non stia passando tanto dall’allestimento di forti diritti sociali, quanto invece dallo sviluppo della normativa antidiscriminatoria e per la parità di trattamento dei singoli. La sentenza segna un ampliamento di tutela per i lavoratori dei paesi terzi presenti in Italia e titolari di un “permesso unico” di soggiorno e lavoro. La prestazione alimentare dell’ANF, di cui d’ora innanzi essi possono essere titolari, rappresenta una misura concreta di sostegno per le famiglie che vivono in condizioni di disagio economico. Si tratta di un passo in avanti importante per un Paese come l’Italia demograficamente ripiegato su di sé e segnato in modo drammatico dalla povertà. Ogni misura volta a favorire l’inclusione sociale, complementare a interventi di sistema e di più ampio respiro, si carica di un ulteriore significato, quando sia diretta a favore dei cittadini di paesi terzi che siano presenti nel nostro territorio: il contrasto all’emarginazione socio-economica, relativamente a loro, diventa prima e imprescindibile condizione per affrontare quella sfida a tutto tondo dell’integrazione che, lo si voglia o meno, i tempi e i cambiamenti ci impongono.

 

Andrea Rosafalco

Fabbrica dei Talenti – ADAPT

@AndreaRosafalco

 

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