Coronavirus. L’architetto Carlo Ratti: «Uffici condivisi, lezioni online e laboratori: o le università cambiano, o molte moriranno»

Le università sono dinosauri, dice Carlo Ratti. E l’immagine – più fedele al pragmatismo del suo Paese d’adozione, gli Stati Uniti che alla sobrietà sabauda delle sue origini – ritorna più volte nella conversazione con l’architetto nato a Torino 49 anni fa. Tra i designer più influenti d’America, Ratti è direttore del Senseable City Lab del Massachusetts Institute of Technology (Mit) di Boston, e fondatore di uno studio di architettura che ha firmato in Italia progetti innovativi come il Future Food District dell’Expo 2015 e il sistema CURA, che impiega container riconvertiti per costruire unità di terapia intensiva pronte all’uso.

 

Per l’architetto – occhiali tondi e aria da eterno ragazzo di chi lavora con il futuro – la pandemia è un’occasione troppo importante per ripensare ambienti, luoghi e modalità di interazione. Perché, in fondo, come dice citando l’ex sindaco di Chicago (e collaboratore strettissimo di Obama) Rahm Emanuel: «non lasciare mai che una crisi vada sprecata»…

 

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