Controllo a distanza e procedimento di autorizzazione amministrativa: i chiarimenti del Ministero del Lavoro in ordine al silenzio amministrativo

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Bollettino ADAPT 10 giugno 2019, n. 22

 

Il Ministero del Lavoro, in risposta all’interpello n. 3/2019, ha espresso la propria posizione in ordine alla configurabilità dell’istituto del silenzio-assenso nell’ambito della procedura amministrativa deputata al rilascio dell’autorizzazione all’installazione ed utilizzo degli impianti audiovisivi e degli altri strumenti di controllo a distanza dell’attività lavorativa di cui alla l. n. 300/1970, art. 4, comma 1.

 

L’impianto normativo di riferimento: le ragioni sottese all’istanza interpello.

 

Il Consiglio nazionale dell’ordine dei consulenti del lavoro ha promosso istanza di interpello in relazione alla procedura di autorizzazione amministrativa citata e ai possibili inconvenienti qualora l’amministrazione – nella fattispecie l’Ispettorato Nazionale del Lavoro – ometta di fornire riscontro all’istante. Come è noto, infatti, il datore di lavoro, al fine di poter legittimamente procedere all’installazione di impianti da cui possa derivare il controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, è tenuto a proporre, in assenza di accordo sindacale sul punto, istanza all’Ispettorato Nazionale del Lavoro, i cui provvedimenti sono espressamente qualificati dalla l. n. 300/1970, art. 4, comma 1, come definitivi.

 

Orbene, nonostante l’imprescindibilità del ricorso a tale procedura ricorrendone i presupposti, la norma in esame non prescrive alcun termine per il rilascio del provvedimento amministrativo né pone alcuna conseguenza rispetto all’eventuale silenzio della PA.

 

Alla luce di ciò nonché in considerazione, con ogni evidenza, delle stringenti sanzioni in caso di violazione della normativa preposta a tutelare la libertà e la dignità del lavoratore di cui al Titolo I della l. n. 300/1970, il Consiglio nazionale dell’ordine dei consulenti del lavoro, partendo dal presupposto che l’autorizzazione in esame sia da qualificarsi come un provvedimento amministrativo tout court, ha richiesto al Ministero del Lavoro chiarimenti in ordine all’applicabilità, nel caso di specie, dell’istituto del silenzio-assenso di cui all’art. 20 della legge n. 241/1990 che così dispone: «Fatta salva l’applicazione dell’articolo 19, nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all’interessato, nel termine di cui all’articolo 2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi del comma 2. Tali termini decorrono dalla data di ricevimento della domanda del privato».

 

La risposta del Ministero del Lavoro.

 

Il Ministero del Lavoro ha fornito la propria risposta al quesito prendendo le mosse dal complessivo impianto normativo di cui all’art. 4 l. n. 300/1970, come modificato dal d.lgs. n. 151/2015 (c.d. “Jobs Act”). A tal proposito il Ministero ha ritenuto doveroso chiarire come, ai sensi del comma 2 della norma in esame, la procedura di autorizzazione amministrativa non sia necessaria nel caso in cui si tratti di strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e per la registrazione degli accessi e delle presenze e ciò purché sia data al dipendente adeguata informativa circa le modalità di utilizzo di tali strumenti e di effettuazione dei controlli, nel rispetto della normativa privacy.

 

La precisazione, ancorché non strettamente connessa al quesito e chiaramente evincibile dalla sola lettura della norma, viene seguita da una ulteriore puntualizzazione parimenti rinvenibile dal tenore letterale della previsione legislativa, ossia la necessaria ed effettiva sussistenza di esigenze organizzative e produttive  a supporto della richiesta di installazione di impianti di controllo. A tal proposito la risposta del Ministero rimanda altresì alla nota del 18 luglio 2018 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro nonché al Provvedimento generale del Garante della privacy in tema di videosorveglianza (i.e. Provvedimento dell’8 aprile 2010).

 

In merito al quesito in senso stretto, il Ministero la escluso l’applicabilità dell’istituto del silenzio-assenso alla procedura in esame, così concludendo: «la formulazione dell’art. 4, primo comma, della legge n. 300 del 1970 non consente la possibilità di installazione ed utilizzo degli impianti di controllo in assenza di un atto espresso di autorizzazione, sia esso di carattere negoziale (l’accordo sindacale) o amministrativo (il provvedimento)».

 

Secondo il Ministero tale assunto troverebbe conforto altresì nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, affermativa del principio secondo cui l’inderogabilità della procedura codeterminativa (i.e. l’accordo sindacale) o dell’alternativa autorizzazione amministrativa poggerebbe sull’intrinseca diseguaglianza di fatto e sociale tra lavoratore e datore di lavoro, essendo quest’ultimo dotato di una indiscutibile e maggiore forza “contrattuale”.

 

Il quadro normativo di riferimento: considerazioni in merito alla posizione assunta dal Ministero.

 

Il Ministero del Lavoro, come detto, ha incentrato il proprio argomentare sul tenore letterale dell’art. 4 della legge n. 300/1970, sui provvedimenti del Garante e dell’Ispettorato nonché sulla giurisprudenza della Suprema Corte senza, tuttavia, prendere in esame, come sarebbe stato – a parere di chi scrive – doveroso, la normativa di riferimento in tema di silenzio-assenso della pubblica amministrazione. Ed infatti l’art. 20 della legge n. 241/1990, nel disciplinare detto istituto nell’ambito dei procedimenti amministrativi, ne postula il carattere generale, prevedendo al comma 4 espresse categorie derogatorie alla sua applicazione, tra cui non figura la gestione del rapporto di lavoro.

Che detto ultimo ambito non risulti oggetto di deroga trova, peraltro, conferma in altre casistiche in cui risulta coinvolta la pubblica amministrazione.

 

Si consideri, a mero titolo esemplificativo, la procedura prevista dall’art. 7 della legge n. 604/66 ai fini della legittima intimazione del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. A tal proposito, infatti, seppur trattasi di particolare procedura, non sovrapponibile a quella di cui all’art. 4 citato, non si può che rilevare come, dall’omessa convocazione da parte della Direzione territoriale del lavoro nel termine previsto, ne discenda la possibilità, per il datore di lavoro, di procedere al licenziamento del dipendente coinvolto.

 

E ancora, si pensi alla procedura per l’assunzione di lavoratori stagionali extracomunitari. In tal contesto, infatti, qualora la richiesta riguardi un lavoratore straniero già autorizzato per l’anno precedente a prestare lavoro stagionale presso lo stesso datore di lavoro, il nulla osta si intende rilasciato qualora, decorsi venti giorni dalla richiesta, lo Sportello Unico non comunichi il proprio diniego, il che è previsto, peraltro, in attuazione della Direttiva 2014/36/UE che, sul punto, richiama espressamente l’istituto del silenzio – assenso.

 

Invero ciò che emerge dalla risposta del Ministero è, a parere di scrive, la volontà di disincentivare il ricorso alla procedura di autorizzazione in esame, come desumibile non solo dall’omessa considerazione dei rilievi sopra esposti, ma altresì dalla ricostruzione proposta dal Ministero medesimo. Quest’ultima, infatti, pare tesa a porre in evidenza, da un lato, la nuova disciplina (introdotta dal c.d. Jobs Act) afferente agli strumenti di lavoro da cui possa discendere il controllo dell’attività dei lavoratori – aspetto, questo, neppure oggetto dell’istanza di interpello – e, dall’altro, il carattere stringente da attribuirsi al presupposto legittimante la richiesta di installazione di impianti di controllo, ossia l’effettiva sussistenza di esigenze organizzative e produttive, circostanza, come detto, pacifica in quanto espressamente prevista dall’art. 4 oggetto di esame.

 

Se è vero, da un lato, che la dignità e la riservatezza del lavoratore sono interessi primari la cui compromissione deve avere carattere eccezionale ed essere supportata da esigenze di rilevante importanza, è pur vero, dall’altro, che, laddove si sia in presenza di una richiesta validamente promossa ed originata dalle esigenze previste dalla norma, l’eventuale omesso riscontro da parte dell’Ispettorato del Lavoro potrebbe essere idoneo a pregiudicare l’attività del datore di lavoro o comunque a comprimere sensibilmente rilevanti interessi aziendali.

 

In ragione di ciò e considerato altresì che la norma non pone un termine ai fini dell’emanazione del provvedimento amministrativo, si rende quanto mai opportuno un intervento del legislatore che – anche ove volesse aderire alla prospettazione del Ministero negando, così, l’applicabilità dell’istituto del silenzio-assenso alla procedura in commento – chiarisca i possibili rimedi azionabili da parte del datore di lavoro istante al fine di poter ottenere e/o sollecitare, con validi strumenti giuridici, un atto espresso da parte della pubblica amministrazione, silente rispetto alla richiesta di autorizzazione presentata.

 

Sara Tiraboschi

Avvocato del Foro di Milano

 

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