Contratto di ricollocazione: una rondine che fa primavera?

La settimana scorsa è accaduto in Italia un fatto epocale. Dinanzi ad una crisi aziendale importante, quella di Alitalia, il Governo si è presentato al tavolo delle trattative tra azienda e sindacati superando la tradizionale proposta italica di gestione del personale in esubero totalmente imperniata sulla triade aurea delle politiche passive: cassa integrazione pluriennale – mobilità lunga – prepensionamento. Ha invece proposto una combinazione di politica passiva, la mobilità (con ciò riconoscendo che se i posti di lavoro non sono più sostenibili dall’azienda bisogna prenderne atto), con uno strumento innovativo di politica attiva: il contratto di ricollocazione, finanziato dalla legge di stabilità 2014 con uno stanziamento di 15 milioni di Euro.

 

Trova così applicazione pratica per la prima volta nel nostro Paese questo innovativo strumento di gestione delle crisi aziendali proposto l’anno scorso dal Senatore giuslavorista Pietro Ichino. In pratica, al lavoratore che perde il posto, cui lo Stato dà giustamente un sostegno temporaneo del reddito, viene richiesto di scegliere un’agenzia specializzata nei servizi di supporto al reinserimento lavorativo (c.d. outplacement) con cui sottoscrivere il contratto di ricollocazione, con il quale si obbliga a dedicare il proprio tempo “lavorativo” alla ricerca attiva dell’occupazione e a non rifiutare eventuali offerte di lavoro congrue, in termini di mansioni, stipendio e localizzazione geografica, pena la revoca del sostegno al reddito. I servizi di supporto alla ricollocazione prestati dall’agenzia di outplacement vengono a loro volta finanziati dal settore pubblico, sia statale, tramite i fondi appositamente stanziati nella legge di stabilità annuale, sia regionali, con i fondi sociali europei, come è stato previsto dalla programmazione dell’Assessore al Lavoro della Regione Lazio, Lucia Valente, per il settennio 2014 – 2020, e pagati in modalità prevalentemente “a risultato”, cioè nel momento in cui il disoccupato viene riportato nuovamente al lavoro in un’altra azienda.

 

Ora, poiché si tratta della prima volta che si sperimenta in Italia questo innovativo strumento di politica attiva del lavoro, per la sua buona riuscita è fondamentale che vengano coinvolte in questo progetto solo le agenzie di comprovata esperienza nei servizi di outplacement, quali le società appositamente autorizzate a livello nazionale ed iscritte ad AISO, l’associazione di categoria che supervisione e garantisce la qualità professionale degli iscritti. E’ pertanto auspicabile un loro celere accreditamento in Regione Lazio, in modo da essere pronti a sostenere con decisione il pieno successo di questa iniziativa sperimentale.

 

Questa novità di azione da parte del Governo, che porta di colpo l’Italia al livello dei più elevati standard europei di gestione delle crisi aziendali, fa ben sperare per l’attuazione delle deleghe previste nel Jobs Act, attualmente in discussione al Senato.

Non possiamo infatti perdere di vista che le riforme che interessano all’Europa sono le riforme economiche e del mercato del lavoro, assai più di quelle costituzionali.

Basta andarsi a rileggere la lettera della BCE dell’agosto 2011 e le raccomandazioni specifiche che la Commissione Europea ha inviato all’Italia il 2 giugno u.s.

 

È auspicabile dunque che la proposta di applicazione del contratto di ricollocazione per gli esuberi di Alitalia non rimanga una rondine che non fa primavera, ma sia l’alba del giorno di sole in cui l’Italia rottama il proprio vetusto diritto del lavoro per entrare definitivamente nella modernità, rimettendosi in competizione con gli Stati europei più avanzati. Solo così gli investimenti diretti esteri torneranno a puntare su di noi, con la relativa creazione di posti di lavoro. I giovani ringrazieranno!

  

Antonio Bonardo

Group Director Public Affairs, GiGroup

 

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Contratto di ricollocazione: una rondine che fa primavera?