Colmare il differenziale retributivo di genere – highlights da un progetto europeo

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Bollettino ADAPT 8 marzo 2021, n. 9

 

Le dinamiche del divario retributivo di genere nei servizi pubblici dell’UE (ovvero pubblica amministrazione, istruzione, servizi sociali e sanità) nel contesto dell’austerità sono state l’oggetto di una ricerca condotta nell’ambito di un progetto europeo e guidato dall’ Università di Greenwich (UK) in partnership con Fondazione ADAPT (IT), CELSI (SK) e FSESP e conclusosi lo scorso gennaio (progetto VS/2018/0074 denominato “Closing the GPG in the public sector in the context of austerity”. Il progetto è iniziato a febbraio 2019 e la conferenza finale si è svolta il 14 gennaio 2021). La ricerca si è basata su 21 studi di caso che hanno analizzato le soluzioni messe in campo dai sindacati per colmare il differenziale retributivo di genere (DRG) e su una disamina dei più recenti dati Eurostat, assieme a una rassegna ragionata della letteratura scientifica di riferimento.

 

Ma di cosa parliamo quando si parla di divario retributivo di genere e parità retributiva? È importante sottolineare la distinzione tra questi due concetti. La disparità retribuzione tra i sessi non corretta (unadjusted gender pay gap) rappresenta la differenza tra la retribuzione oraria lorda media degli uomini e delle donne, espressa in percentuale rispetto alla retribuzione oraria lorda media dei dipendenti maschi (esclusi gli straordinari). La parità di retribuzione, invece, è un principio sancito dalle normative UE (già dal 1957 nel suo Trattato istitutivo) e nazionali, in virtù delle quali tutti i lavoratori, indipendentemente dal genere, hanno diritto alla stessa retribuzione per un lavoro di pari valore.

 

In termini generali, i risultati esposti nel comparative report realizzato dai partner del progetto confermano la preoccupazione per la “stagnazione” del divario retributivo di genere in tutta Europa nell’ultimo decennio nel contesto della crisi economica e in particolare nel settore pubblico.  Infatti, nell’UE a 28, il DRG medio non corretto nel settore pubblico è aumentato in fase di recessione tra il 2007 e il 2018 e ha appena iniziato a segnare un’inversione di tendenza. In particolare, è interessante sottolineare che nel 2019 nei seguenti paesi il DRG nel settore pubblico è risultato più alto rispetto a quello del settore privato: Bulgaria, Finlandia, Lettonia e Slovenia (elaborazione ADAPT su dati Eurostat. Fonte: Gender pay gap in unadjusted form by type of ownership of the economic activity – NACE Rev. 2 activity (B-S except O), structure of earnings survey methodology [EARN_GR_GPGR2CT]. Nel 2018 anche Portogallo, Norvegia e Serbia facevano parte di questa categoria).

 

Sebbene le misure di austerità introdotte nell’UE siano state più o meno drastiche a seconda degli Stati membri e abbiano portato a esiti diversi, è possibile formulare alcune considerazioni di carattere generale. Infatti, sia l’aumento della disoccupazione, sia i tagli alla spesa per le retribuzioni del pubblico impiego hanno contribuito a un innalzamento del DRG, divario che si è accentuato nelle fasce retributive più alte e si è ridotto per quanti si collocano all’altro capo della forbice retributiva, avvalorando l’idea che l’austerità possa aver causato una convergenza tra gli uomini e le donne all’estremità più bassa della scala salariale (questa tendenza può essere stata influenzata dai tentativi messi in campo dai sindacati per proteggere i salari più bassi dai tagli o dal congelamento delle retribuzioni o da un qualche esito delle politiche sui minimi salariali previsti per legge). Il progetto ha anche evidenziato come, in alcuni casi, le misure volte a garantire la parità salariale in un contesto di tagli al bilancio possano portare a un “livellamento verso il basso” della retribuzione degli uomini, piuttosto che a un “livellamento verso l’alto” della retribuzione della compagine femminile. Si tratta di un punto debole della legislazione sulla parità salariale, la quale non richiede di “armonizzare e innalzare” la retribuzione delle donne ai livelli salariali degli uomini nel caso di un lavoro di pari valore. Inoltre, complessivamente, sebbene tra il 2008 e il 2018 il divario tra il numero di ore di lavoro dagli uomini e quelle della componente femminile si sia ridotto (nel 2019, secondo l’Eurostat il 34.3% delle donne ha lavorato part-time a fronte del 10% degli uomini), per leggere correttamente i dati relativi alla contrazione del DRG è importante sottolineare che in alcuni Paesi dell’Unione europea (tra cui l’Italia) è stato registrato anche un calo della percentuale di uomini impiegati a tempo pieno nel settore pubblico.

 

Un aspetto chiave che contraddistingue il periodo di austerità è rappresentato dall’azione sindacale promossa dalle donne in tutta Europa nei settori caratterizzati da segregazione occupazionale di genere (in particolare sanità, assistenza sociale e istruzione) per difendere il proprio posto di lavoro, il proprio salario e le condizioni lavorative (ad esempio, insegnanti e infermiere in Polonia e operatrici dei servizi all’infanzia in Germania). In molti casi, tale azione non ha riguardato specificatamente il DRG, ma si è concentrata sul riconoscimento e il valore sociale del lavoro femminile e, ad esempio, nei Paesi Bassi, queste azioni hanno portato a un’inversione di tendenza per quanto riguarda i tagli di bilancio nel settore dell’assistenza domiciliare. Con riferimento al tema della privatizzazione dei servizi pubblici caratterizzati da una forza lavoro prevalentemente femminile (servizi sociali e alla persona, sanità e istruzione), essa ha spinto verso un indebolimento dei salari e delle condizioni di lavoro delle donne, una frammentazione della contrattazione collettiva e l’esclusione delle lavoratrici di questi settori dalle rendicontazioni sul DRG degli enti pubblici che esternalizzano i servizi (mascherando così il reale divario retributivo di genere all’interno dei servizi pubblici).

 

Rispetto al tema della rendicontazione sul differenziale retributivo di genere –argomento di grande attualità e interesse a livello europeo– la ricerca ha permesso di individuare alcuni paesi che, come la Spagna, hanno già introdotto misure di trasparenza salariale che impongono alle organizzazioni una rendicontazione sul proprio differenziale retributivo di genere, sebbene in alcuni casi queste siano limitate al settore privato (Austria, Francia). In questo ambito, la prima iniziativa collettiva diretta in materia di DRG avutasi in Francia è rappresentata da una class action promossa dalla Confédération Générale du Travail (CGT) contro la Cassa di Risparmio dell’Ile-de-France (CEIDF) e finalizzata all’introduzione di provvedimenti che ponessero fine a un gap retributivo di genere del 18% (a fronte di quello dichiarato dalla banca, cioè l’1%).

 

Parità retributiva per un lavoro di pari valore? Nonostante alcune importanti iniziative sindacali per contrastare i bassi salari nelle occupazioni svolte in prevalenza da donne, la conoscenza e l’utilizzo della legislazione UE o delle normative nazionali sulla parità retributiva, nonché delle iniziative UE volte a promuovere questo principio, sono piuttosto limitati. Questo significa che la parità salariale non viene ancora pienamente utilizzata come strumento fondamentale per contribuire a colmare il DRG, né nell’ambito della contrattazione collettiva, né attraverso azioni legali o la progettazione di programmi di valutazione professionale in un’ottica di genere.

 

Nonostante le misure di austerità, e le privatizzazioni a esse correlate, abbiano indebolito la contrattazione collettiva in tutta Europa, sino alla sospensione di questo processo anche con specifico riferimento agli aspetti inerenti le disparità di genere, la ricerca ha confermato l’impatto positivo dei contratti collettivi sulla riduzione del DRG nel settore della pubblica amministrazione e dell’istruzione, dove il DRG medio è risultato inferiore nelle organizzazioni oggetto di accordi salariali nazionali o di categoria, rispetto a quelle non coperte da alcun contratto collettivo. Tuttavia, nel settore sanitario e sociale, il rapporto non è così lineare e il contratto collettivo non si traduce necessariamente in una riduzione del DRG (questo potrebbe essere dovuto al fatto che la privatizzazione abbia escluso questi gruppi dalla contrattazione collettiva).

 

In conclusione, in continuità con i risultati della ricerca e in un contesto caratterizzato da grandi sfide per la società e sul fronte dell’occupazione, quali pandemie, cambiamenti climatici, automazione e intelligenza artificiale, è possibile ribadire la necessità di porre fine al DRG. Colmare il differenziale retributivo di genere dovrebbe essere una priorità politica per i datori di lavoro del pubblico e per i fornitori privati in tutta l’UE, soprattutto in tempi di recessione, quando il DRG rischia di stagnare o di aumentare, questo il monito dei partner del progetto. Come? In primis, attraverso la riorganizzazione del lavoro retribuito e delle mansioni domestiche non retribuite e incrementando una partecipazione paritaria al mercato del lavoro, sulla base di una reale condivisione del lavoro domestico e di cura degli anziani e dell’infanzia, un accesso universale ai servizi alla persona e all’infanzia, diritti alla maternità e alla genitorialità che eliminino la penalizzazione retributiva della “maternità” e consentano anche ai padri/partner di condividere la cura dei figli, parità di accesso all’istruzione e alla formazione sul lavoro e tempo per la partecipazione sindacale e democratica1.

 

Claudia Carchio

Assegnista di ricerca, Università di Bologna

 

Margherita Roiatti

ADAPT Research Fellow

@MargheRoi

 

1 La versione integrale alla Guida alle politiche che contiene anche tutte le raccomandazioni formulate dai partner del progetto per contribuire a colmare il differenziale retributivo di genere è consultabile qui.

 

 

Colmare il differenziale retributivo di genere – highlights da un progetto europeo