Cessione di ferie e permessi, un istituto ancora alla linea di partenza

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Bollettino ADAPT 20 settembre 2021, n. 32

 

Gli accordi sulla “cessione dei riposi e delle ferie”, disciplinati dall’art.24 del D.Lgs. n.151 del 14 settembre 2015, ad oggi non sembrano ancora avere avuto, nelle imprese industriali, una diffusione corrispondente all’alto livello di attenzione che, nel dibattito sindacale e dottrinale, era stato suscitato dall’introduzione di questo istituto. La contrattazione collettiva nazionale, intervenuta in applicazione del rinvio del primo comma dell’art.24 alle “modalità stabilite dai contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative”, ha talora ripreso il dettato normativo, richiamandolo e/o riportandolo, senza tuttavia disporre significative integrazioni.

 

Anche nel comparto chimico, tradizionalmente attento al tema della responsabilità sociale, l’art.60 punto 7 del rinnovo del 19 luglio 2018 ha rinviato alla disciplina legale ed alla eventuale contrattazione aziendale. Il recente CCNL 28 luglio 2021 per il Tessile Abbigliamento Moda, comparto con elevata presenza di personale femminile, non ha approfondito il tema. L’unica rilevante eccezione sembra ancora rappresentata dal verbale di intesa Federmeccanica, Assistal e FIM, FIOM, UILM del 26 marzo 2018, che ad integrazione del CCNL 26 novembre 2016 ha definito specifiche linee guida nazionali, previo confronto con il Ministero del Lavoro e con l’INPS finalizzato al superamento di alcune incertezze interpretative. Analogamente la contrattazione aziendale concernente questo istituto, seppure sviluppatasi nello scorso quinquennio presso varie realtà manifatturiere, sembra avere prodotto fino ad ora un numero ridotto di accordi (ad esempio solo circa una decina presso le imprese industriali associate a Confindustria Bergamo) nonostante l’indubbia presenza, in molti contesti lavorativi, di situazioni di grave necessità di assistenza, forse incrementate anche dalla situazione pandemica ancora in corso, per le quali la procedura di cessione potrebbe probabilmente rappresentare un utile aiuto. Non è facile monitorare quantitativamente intese di questa tipologia, non soggette a deposito obbligatorio e gestibili anche con approcci informali, l’impressione tuttavia è che, a fronte di alcuni casi aziendali di rilievo, non si sia dato corso nei territori ad una adozione sistematica che fornisse adeguato riscontro alle potenzialità dell’istituto.

 

Le ragioni di questa ridotta diffusione non sembrano peraltro riconducibili ad uno scarso interessamento delle parti sociali, trattandosi in realtà di una misura:

– certamente vicina alle sensibilità delle principali OOSS categoriali;

– inseribile nei piani di welfare aziendale per le consuete finalità di fidelizzazione e di incremento del senso di appartenenza aziendale;

– scevra da criticità organizzative/gestionali. L’adozione non determina infatti una riduzione complessiva delle ore lavorative, solo una diversa distribuzione individuale dell’ordinario quantitativo di ferie/permessi in situazioni eccezionali. Inoltre la negoziazione delle modalità operative di applicazione permette di contemperare comunque eventuali esigenze aziendali con le necessità di assistenza dei lavoratori cessionari.

 

È possibile che l’elevato ricorso agli ammortizzatori sociali durante le fasi più critiche dell’emergenza sanitaria da Covid – 19, la maggiore attenzione alla conservazione/recupero di un adeguato livello di produzione ed alle correlate problematiche occupazionali, il temporaneo rallentamento della contrattazione nel biennio 2020/2021, abbiano contribuito alla mancata valorizzazione dell’istituto. Si tratta tuttavia di condizionamenti che non hanno operato nel triennio 2016-2019 e che anche attualmente risultano, in fase post pandemica e di ripresa graduale delle produzioni, in corso di superamento.

 

Forse la principale causa della mancata diffusione di queste soluzioni è da ricondursi, più semplicemente, ad una ricorrente problematica del nostro ordinamento, ossia l’assenza di una prassi amministrativa in grado di dare certezza alla gestione amministrativa di pratiche nuove e non ordinarie. Nonostante il quinquennio decorso dalla pubblicazione del D.Lgs. n.151 mancano infatti ancora, dalle istituzioni ed amministrazioni competenti, indicazioni procedurali –  seppure minime – afferenti  i principali aspetti operativi della cessione: i criteri per ampliare la casistica prevista dall’art.24 di per sé limitata alla sola esigenza di assistenza ai figli minori, i termini massimi per l’utilizzo, le modalità di computo delle scadenze legali per la contribuzione previdenziale, la valorizzazione a fini retributivi, previdenziali ed assicurativi delle ore cedute in ragione del differente trattamento retributivo di cedenti e cessionari, la possibilità di creare accantonamenti aperti con rinvio alla successiva identificazione dei destinatari o la necessità della loro preventiva e  specifica identificazione nominativa etc. Aspetti che non possono essere risolti con la remissione alla contrattazione collettiva, di primo o secondo livello, delle modalità di declinazione dell’istituto, operata dalla disposizione in esame. I margini di impostazione dei negoziati applicativi di questa norma sono infatti inevitabilmente condizionati dai contenuti di altre norme, di carattere imperativo. Si tratta di una circostanza non secondaria, per rappresentanze sindacali ed operatori d’impresa, atteso che le intese raggiunte possono essere oggetto di accertamenti ispettivi e provvedimenti sanzionatori. In questo come in molti altri casi, l’adozione di formule legislative “leggere” (l’art.24 si compone di un solo breve comma) può rappresentare nel nostro ordinamento, per carenza di indicazioni amministrative, non una agevolazione ma un limite al dispiegamento della contrattazione.

 

Le parti sociali sono investite di responsabilità che comprensibilmente possono non essere disposte ad assumersi, in ragione della difficoltà di avere riscontri dai servizi degli istituti competenti (INPS, INAIL, INL, AE per le implicazioni fiscali etc.), della complessità e difficile quantificazione delle conseguenze sanzionatorie per eventuali infrazioni, della difficoltà di gestione di eventuali ricorsi amministrativi nell’ipotesi di contenzioso. Del resto il contesto regolamentare lavoristico è notoriamente complicato e rischioso per molti aspetti e tende ad indurre gli operatori alla prudenza. Talora si riscontra infatti anche il problema opposto. Si considerino a titolo esemplificativo le criticità indotte dalla regolamentazione della c.d. detassazione dei premi di risultato di cui all’art.1 comma 182 della Legge n.208 del 28 dicembre 2015, oggetto prima di circolari organiche dell’AE (l’ultima è la n.5/E del 29 marzo 2018)  poi però di una successione continua di risoluzioni/risposte a interpello (almeno 4 di rilievo solo nell’ultimo anno)  che, affrontando assertivamente solo specifici aspetti, sono risultate induttive di dubbi operativi e criticità interpretative. Per favorire l’attivazione di nuovi istituti, in presenza di norme “leggere” occorrerebbe probabilmente una prassi amministrativa tempestiva e dettagliata, viceversa in caso di norme dettagliate occorrerebbe una prassi amministrativa “leggera”. L’approssimarsi dell’auspicata conclusione dell’emergenza sanitaria, con la ripresa sia delle produzioni sia di un approccio ordinario alla contrattazione aziendale, può forse rappresentare, per l’istituto della cessione solidale dei riposi e delle ferie, un’occasione di rilancio e di messa a regime, a condizione tuttavia che finalmente intervengano i necessari chiarimenti interpretativi ed operativi che permettano di ridurre incertezze e rischi sanzionatori.

 

Stefano Malandrini

Confindustria Bergamo

 

Cessione di ferie e permessi, un istituto ancora alla linea di partenza