Carcere e lavoro: il ruolo della cooperazione sociale

La cooperazione sociale in Italia esprime un crescente potenziale di solidarietà e inclusione che si trasforma quotidianamente in coesione sociale.

 

L’Alleanza delle Cooperative Sociali Italiane (coordinamento di Federsolidarietà-Confcooperative, Legacoopsociali ed Agci Solidarietà) rappresenta la quasi totalità di questo mondo, contando complessivamente circa 9.700 tra cooperative sociali e consorzi da esse costituiti – oltre 385 mila soci e circa 375 mila occupati – un punto di riferimento a livello globale per il mondo dell’imprenditoria sociale.

 

La cooperazione sociale è quindi un ennesimo prodotto d’eccellenza italiano, il Made In Italy di una società che coopera, si organizza e include, che trasforma una persona disabile in un cittadino attivo e in grado di contribuire al suo benessere e a quello della sua comunità, che risponde ai bisogni di persone potenzialmente ai margini e a rischio di esclusione, come anziani, minori in situazioni di difficoltà, migranti.

 

Tra le attività più innovative svolte da questa rete ci sono numerose iniziative imprenditoriali mirate al re-inserimento socio lavorativo di persone in esecuzione penale e la creazione di posti di lavoro per detenuti ed ex detenuti. Si tratta di un’attività che negli anni ha dimostrato la possibilità reale di costruire reti solidali capaci di garantire la compartecipazione dei cittadini nella costruzione della sicurezza collettiva il cui motore principale è la solidarietà sociale.

 

In questo settore è stato particolarmente importante il dialogo che, nel corso del tempo, si è instaurato con le Istituzioni che ha portato nel 1998 alla sottoscrizione di un primo protocollo di intesa per promuovere, attraverso azioni congiunte, l’avvio di nuove attività produttive all’interno degli istituti di pena e incrementare annualmente il numero dei reclusi che potessero attraverso un’assunzione cominciare un proprio percorso di accostamento alle regole del mercato produttivo. Nel 2013 il protocollo è stato rinnovato per aggiornare e rilanciare la collaborazione tra Ministero della giustizia, Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e movimento cooperativo nello spirito di fare della condanna un vero momento di riscatto delle persone.

 

Dal 1998 ad oggi le cooperative sociali hanno, non senza fatica, progressivamente allargato il proprio raggio d’azione, accrescendo negli anni il loro impegno nel reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti, sia attraverso attività all’interno degli istituti di pena, che con il lavoro all’esterno e le misure alternative. Fino al termine del 2014 si potevano contare così 600 postazioni di lavoro remunerate all’interno delle case Circondariali e di Reclusione e diverse migliaia sono poi i posti di lavoro creati all’esterno, tanto per detenuti ammessi al lavoro esterno quanto per persone beneficiarie di misure alternative alla detenzione.

 

Un percorso importante e da mettere al centro del dibattito degli Stati generali dell’Esecuzione penale, in particolar modo perché è possibile generare un nuovo passo in avanti per il miglioramento delle condizioni dei detenuti all’interno degli istituti di pena, rafforzando la funzione rieducativa della pena, in coerenza con i principi sanciti dall’articolo 27 della Costituzione italiana.

 

Quali i benefici

 

Infatti, il lavoro produttivo, gratificante ed adeguatamente retribuito contribuisce al sostentamento del detenuto e della sua famiglia, e favorisce l’acquisizione di una maggiore consapevolezza delle proprie capacità e della coscienza del proprio ruolo sociale. È questa la considerazione che si pone base degli interventi nei confronti delle persone ristrette nella libertà. La rete delle cooperative sociali, soprattutto attraverso le proprie realtà consortili, rappresenta un importante fattore di congiunzione tra il carcere ed il mondo esterno.

 

La formazione, l’orientamento e l’assistenza fornita alle persone ristrette nella libertà non si esauriscono con la fine della pena detentiva, ma si completano con interventi mirati di re-inserimento nella società. La “riabilitazione sociale” delle persone ristrette in libertà continua con la prospettiva di poter beneficiare delle opportunità lavorative offerte soprattutto dalle cooperative sociali che fanno parte del sistema, mettendo a frutto e valorizzando il percorso di crescita intrapreso dai detenuti scontando la propria pena. Un detenuto che lavora produce ricchezza, si incrementa l’occupazione aumentando la contribuzione fiscale.

 

Le attività lavorative all’interno degli istituti di pena aiutano ad aumentare la sicurezza delle carceri, riducendo potenzialmente i costi di sorveglianza, così come un detenuto che non torna a delinquere diventa un valore per la società invece che un costo, oltre che un rischio in meno per la propria comunità.

 

L’inserimento lavorativo nelle cooperative sociali genera un impatto importante sull’abbattimento del tasso di recidiva dei condannati inseriti in questi percorsi, che passa da oltre il 80% a meno del 10%, producendo così un importante risparmio per le casse dello Stato e alleviando la già critica situazione delle carceri italiane.

 

Gli stati generali – azioni possibili

 

Gli Stati generali dell’Esecuzione penale sono un momento fondamentale per affrontare le contraddizioni che vi sono ancora in questo sistema e intraprende un percorso che può portare beneficio per tutto il sistema Paese. Infatti, nonostante un’esperienza pluriennale, il numero dei detenuti che si trovano a lavorare con cooperative sociali e imprese rappresenta ancora oggi una minima parte della popolazione carceraria, rendendo necessario intervenire per far crescere il numero di detenuti che sono inseriti in percorsi di formazione e lavoro.

 

La presenza delle cooperative sociali e delle imprese all’interno degli istituti di pena rappresenta ancora oggi un fenomeno limitato solo ad alcune realtà, sarebbe necessario incoraggiare e sostenere gli istituti di pena verso una sempre maggiore apertura alle cooperative sociali e alle imprese e fare delle carceri un ambiente dove è possibile intraprendere attività imprenditoriali vere e creare posti di lavoro per i detenuti.

Uno degli strumenti più importanti a disposizione dello start up imprenditoriale è la Cassa delle ammende. In questi anni grazie a questa è stato possibile per molte esperienze cooperative il consolidamento delle proprie iniziative all’interno delle carceri, assumendo gradualmente una sempre maggior connotazione imprenditoriale. È condivisibile la volontà di supportare e indirizzarsi sempre più verso il rilancio di iniziative imprenditoriali che producano inserimenti lavorativi, lavori e non banche dati o sovrastrutture di intermediazione, di cui il nostro Paese è già abbondantemente ricco (e su questo abbiamo chiarito abbondantemente la nostra posizione anche in merito al tanto discusso progetto Anrel). Cassa delle Ammende deve mantenere e rafforzare per il futuro il ruolo legato alla propria mission, favorendo lo start up di attività imprenditoriali, di cui è nel tempo dimostrabile l’autonoma capacità economica. È necessario avviare una rinnovata stagione progettuale a favore del rafforzamento e della nascita di nuove attività imprenditoriali all’interno delle carceri, anche favorendo una maggior relazione tra mondo profit e cooperazione sociali.

 

Lungo alcuni filoni di interesse imprenditoriale reciproco (agricoltura e rilancio colonie penali agricole, mense interne, bar-spacci e ristorazione, produzione di beni artigianali, solo per citare alcuni esempi) la cooperazione sociale può mettere a disposizione know how, filiere produttive intersettoriali integrate tramite l’apporto della cooperazione agroalimentare e di consumo, etc.

 

Quando una cooperativa sociale o un’impresa intende avviare un’attività all’interno degli istituti di pena molto spesso si trova a trovare un ambiente che non favorisce tale iniziativa, che ostacola la comunicazione interno-esterno del carcere anche quando questo riguarda passaggi fondamentali per l’attività imprenditoriale: collegamenti telefonici e internet per la gestione degli ordinativi; flusso merci in entrata; trasporto prodotti verso l’esterno. Si potrebbero adottare i protocolli attivati negli istituti di pena che già hanno avviato da tempo attività produttive al loro interno per poi estenderli sul resto del territorio nazionale (Due Palazzi di Padova, Bollate a Milano, Rebibbia a Roma etc…).

 

Lavorare all’interno degli istituti di pena pone delle questioni di tipo strutturale, legate agli ambienti delle carceri. La progettazione delle carceri dovrebbe sempre più considerare che la vita dei detenuti non avviene principalmente nelle celle, ma in aule di formazione, laboratori, centri di cottura, officine etc.

 

Sono state recentemente approvate delle innovazioni alla legge n. 193 del 2000 (Smuraglia) che regola gli incentivi all’assunzione di detenuti ed ex-detenuti nelle cooperative sociali e nelle imprese, è necessario verificare che i meccanismi applicativi della norma riescano a rafforzare il numero di detenuti occupati. Difatti si riscontra nel 2015 una preoccupante contrazione delle assunzioni rispetto agli anni precedenti, in cui era stato possibile riscontrare un trend positivo, facendo crescere di anno in anno il numero dei ristretti che hanno potuto essere coinvolti in percorsi di re-inserimento sociale e lavorativo.

 

Infine, noi crediamo che il sovraffollamento non si risolva con provvedimenti di tipo deflattivo straordinari quali amnistia e indulto, seppur a nostro avviso necessari. Un nuovo modello deve poggiare le sue fondamenta sulla sussidiarietà, sulla capacità che ogni soggetto che vive il territorio possa costruire un singolo mattone di edifici più aperti alla comunità, più partecipati. Come? Per esempio affidandone la costruzione e la gestione alle comunità locali. La sussidiarietà ha bisogno di legami, e non si alimenta solo coi soldi pubblici: più soggetti con responsabilità suddivise aumentano il consenso intorno al tema della sicurezza, rafforzano la partecipazione, contribuiscono a far diminuire i pregiudizi. Esistono già strumenti normativi adeguati, come la finanza di progetto, magari sostenuti da un ruolo attivo della finanza sociale.

 

Andrea Fora

Vice Presidente Federsolidarietà – Confcooperative

 

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