Anche se il DVR non prevede determinate misure, il datore di lavoro è responsabile per l’infortunio

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Bollettino ADAPT 10 maggio 2021, n. 18

 

Può essere ritenuto responsabile civilmente e penalmente il datore di lavoro che abbia omesso di adottare le cautele necessarie ad impedire un infortunio sul lavoro di un proprio dipendente, anche qualora dette misure non siano state contemplate nel documento di valutazione dei rischi? Si tratta di un interrogativo alla quale ha fornito una risposta di recente la Corte di Cassazione (Cass. Pen., IV Sez., 13 gennaio 2021, n. 61).
 
A seguito dell’esame condotto dai giudici del merito era stata disposta la condanna per il datore di lavoro, nonché titolare dell’impresa ed esecutore effettivo dei lavori di riparazione di un ascensore, per i due reati riuniti di cui all’art. 590 c.p., commi 2 e 3 nonché art. 71, comma 4 lett. a) del d.lgs. n. 81/2008, in quanto era stato accertato che il soggetto in questione con la propria condotta aveva cagionato al lavoratore, qualificato come apprendista, fratture scomposte guaribili in almeno trenta giorni. Il datore di lavoro, infatti, durante una riparazione sopra un ascensore in sospensione tra un piano e un altro non aveva adottato una cautela ulteriore, cioè quella di ancorare l’impianto di sollevamento alla guida dello stesso, non prevista dal DVR, e aveva omesso di verificare l’efficienza del freno paracadute, che non essendo idoneo a reggere il peso di due persone, ha portato il lavoratore alla caduta dall’ascensore al suolo da un’altezza di circa cinque metri.
 
Avverso la pronuncia della Corte d’appello, il datore di lavoro è ricorso in Cassazione, deducendo la violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla norma sul nesso di causalità di cui all’art. 40 c.p., ritenendo non dimostrato il legame tra la condotta omissiva addebitata al datore di lavoro e l’evento lesioni subite dall’apprendista. L’art. 40 c.p. viene utilizzato frequentemente dalla giurisprudenza in combinato disposto con l’art. 41 c.p. per la ricostruzione del nesso di causalità non solo in materia penale ma anche nei casi di infortuni sul lavoro e malattie professionali (ex multis, Cass. 17 Febbraio 2020, n. 3909; Cass. 26 marzo 2015, n. 6105; App. Lecce, 30 settembre 2016, n. 1892).
 
In particolare, il ricorrente contestail mancato accertamento circa la sussistenza dell’obbligo a carico del datore di installare un ulteriore strumento di sicurezza e la mancata prova circa la possibilità del  datore di lavoro di prevedere i rischi connessi a detto intervento riparatore; viene altresì contestato dai ricorrenti il fatto che il giudice si sia attenuto soltanto alle dichiarazioni testimoniali che per l’imputato non hanno valore probatorio. È rimasto altresì indimostrato, secondo il ricorrente, la prova che l’ulteriore misura di sicurezza, omessa, avrebbe oltre ogni ragionevole dubbio impedito l’evento delle lesioni al dipendente, oltre che la mancata prova dell’esistenza di un obbligo giuridico a carico dell’imputato di impedire l’evento, almeno con riferimento alla prevedibilità dello stesso.

Con il secondo motivo del ricorso viene altresì dedotta la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’art. 43 c.p. per l’ipotesi di reato contestata in correlazione con il d.lgs. n. 81/2008, ritenendo in sostanza che sia nel DVR dell’azienda che nella legge non vi fossero indicazioni in merito ad un ulteriore rischio specifico da rintracciare nell’espletamento di un’attività come quella descritta; in altri termini, il datore di lavoro ha asserito che dalla lettera della legge non scaturirebbe un ulteriore obbligo di sicurezza a suo carico. Viene poi contestata la mancata prevedibilità dell’evento da parte dell’interventista che di fatto non era chiamato a controllare i sistemi di sicurezza.
 
I giudici di legittimità respingono il ricorso sulla base delle seguenti motivazioni. In prima battuta, la Suprema Corte ribadisce che nell’ottica della normativa prevenzionistica la circostanza che il datore di lavoro operi anche in prima persona e sottoponga se stesso al rischio derivante dall’omessa predisposizione di misure prevenzionali, non muta i suoi doveri nei confronti della sicurezza dei lavoratori da lui dipendenti. Dopodiché la Corte chiarisce anche che le contestazioni avanzate dal ricorrente non colgono nel segno, in quanto come emerge dai testi esperiti e dalle relazioni acquisite circa la lavorazione effettuata dal datore di lavoro, era necessario azionare un incatenamento dell’ascensore per evitare il rischio di caduta che nel caso di specie risultava anche maggiore perché l’ascensore avrebbe dovuto sopportare il peso di due persone. I giudici quindi confermano quanto asserito nei precedenti gradi di giudizio: se la cautela fosse stata posta in essere con ogni probabilità l’evento non si sarebbe verificato.
 
La corte di Cassazione ha poi ritenuto infondato anche il secondo motivo di ricorso, ricordando come il DVR ex art. 28 d.lgs. n. 81/2008 non prevede specificamente un rischio ma è obbligo poi del datore di lavoro adottare le idonee misure di sicurezza relative ad un rischio non contemplato sopperendo pertanto lui stesso ad un eventuale omessa previsione del documento.
 
Sebbene la responsabilità inerente al contenuto del DVR sia rivolta al datore di lavoro, atteso lo specifico divieto di delega, giova ricordare che la Suprema Corte ha iniziato a ricercare la corresponsabilità dell’effettivo autore del reato diverso dal datore a condizione che esso sia esperto della materia e condivida con il datore il ruolo di soggetto “tenuto alla redazione del piano stesso e all’attuazione delle conseguenti cautele” (Cass. IV Pen., 21 gennaio 2004, n. 1494). Viene però altresì precisato che l’onere del datore di lavoro consista nella corretta individuazione di un redattore con capacità e professionalità adeguate per il documento, rimanendo in ogni caso lo stesso datore tenuto ad accertare l’avvenuta adeguata valutazione di tutti i rischi presenti nell’attività (come è accaduto nella sentenza Cass. III Pen., 3 agosto 2005, n. 29229, la quale ha affermato la responsabilità del datore di lavoro in relazione all’omessa valutazione di un rischio grave e specifico relativo alla camera iperbarica).
 
Come però chiarito dalla Corte nel caso concreto, il datore di lavoro non è dispensato in ogni caso dall’obbligo di tutela della salute e della sicurezza qualora rintracci nel caso di specie obblighi ulteriori rispetto a quelli espressamente previsti nel DVR; questo assunto trova una giustificazione in primis nella natura dinamica del documento, che fissando in un dato momento i rischi può non contemplarne alcuni che potrebbero essere sopraggiunti o non preventiva; e poi nell’art. 2087 cod. civ. da sempre declinato in termini di dinamicità e onnicomprensività per cui al datore di lavoro spetta il compito di individuare ed applicare, di volta in volta ed in relazione alle particolari caratteristiche della prestazione lavorativa, tutte le misure e gli accorgimenti che nel corso del tempo possono garantire la tutela della salute dei propri lavoratori.
 
Questo intervento del datore di lavoro potrà dirsi effettivo solo prendendo coscienza dei pericoli e valutando adeguatamente i rischi connessi alla propria attività produttiva, adempiendo così a quell’obbligo di sicurezza che il Codice Civile gli impone. La redazione del documento di valutazione dei rischi, dunque, non costituisce altro che una specificazione ed un’applicazione concreta dell’obbligo generale di sicurezza sancito dall’art. 2087 c.c., ponendosi i due obblighi in rapporto di stretta strumentalità. Pertanto, la violazione degli obblighi previsti dal DVR risulterà una violazione indiretta dell’art. 2087 cc. divenendo così lo stesso datore esposto ai rimedi previsti in caso di violazione della disposizione civilistica, primo tra tuti l’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 cod. civ.
 
Cecilia Catalano

ADAPT Junior Fellow

@Cecilia52659303

Anche se il DVR non prevede determinate misure, il datore di lavoro è responsabile per l’infortunio