Anche il sindacato è da rottamare?

Sindacati e Governo Renzi non si parlano: è davvero terminata l’era della concertazione? I tavoli tripartiti tra governo, sindacati e associazioni degli imprenditori, sono sempre stati considerati dai lavoratori come una vittoria. E, fin dal suo avvio, la concertazione ha accompagnato riforme, innovazioni e a volte anche sconfitte dell’una o dell’altra parte seduta al tavolo.
 
La storia sindacale e politica italiana presenta tratti certamente originali, fra questi, uno dei principali attiene al rapporto fra rappresentanza sindacale e sistema politico, a lungo segnato da una marcata autonomia del sistema italiano delle relazioni industriali dalla politica. È con gli accordi dei primi anni Novanta che la concertazione diviene a tutti gli effetti il nuovo perno delle relazioni industriali italiane. Al centro del confronto il costo del lavoro, rispetto al quale si siglano due accordi interconfederali – il 6 luglio 1990 e il 10 dicembre 1991 – con cui la c.d. “scala mobile” esce silenziosamente di scena. Il Governo, allora indebolito dalle numerose inchieste giudiziarie dell’epoca, invita le parti sociali ad aprire una trattativa a tutto campo “per la ristrutturazione del salario e del sistema contrattuale”. Ma la “regola delle regole” arriva nel luglio Novantatré quando sindacati, imprenditori e Governo siglano il meccanismo che adegua i salari all’inflazione attraverso un complesso meccanismo di calcolo e fissa le basi della contrattazione.
 
L’accordo del Novantatré consente dunque da un lato un’adeguata regolamentazione dei salari e, dall’altro, l’ingresso del nostro Paese nel sistema dell’Euro. Si tratta di un accordo che ha dimostrato come la concertazione costituisca una marcia in più per il governo del Paese, a condizione però che tra Governo, associazioni sindacali e imprenditori ci sia una piena condivisione degli obiettivi da raggiungere e dei vincoli da rispettare, come avvenuto nel Novantatré. In caso contrario la concertazione diventerebbe uno strumento in grado di condurre alla paralisi istituzionale perché capace di attribuire un potere di veto a chi rappresenta una parte soltanto degli interessi in gioco: si tratterebbe a questo punto di uno strumento non condivisibile in quanto estremamente distante dai principi ispiratori che guidano l’attività della nostra sigla sindacale.
 
È chiaro che il sistema attuale delle relazioni industriali italiane vive una tormentata e lunga transazione regressiva: lo ha dimostrato ampiamente l’atteggiamento del Governo Monti che (solo per citarne una) ha portato a compimento la riforma del sistema pensionistico ignorando quasi completamente le posizioni delle parti sociali, e lo confermano ancor di più le preoccupanti dichiarazioni del ministro del lavoro Poletti e la sfida lanciata del premier Renzi che annuncia la fine della stagione della concertazione con le parti sociali.
 
L’attuale congiuntura economica impone di agire con rapidità nella realizzazione di cambiamenti significativi: a tale proposito è quanto mai opportuno che il Governo decida all’interno di una democrazia parlamentare, ma è altrettanto corretto dare un segnale di apertura alle parti sociali, i cui obiettivi sono ben lungi dall’osteggiare le misure di politica economica promosse.
 
Anche l’Europa chiede il dialogo sociale, e da bravi europei abbiamo il dovere di sviluppare questo dialogo affermando la responsabilità di ognuno nello svolgere la propria funzione. La nostra sigla sindacale ha mostrato curiosità per gli interventi che il Governo Renzi si è apprestato a realizzare, dall’abbassamento della tassazione del lavoro dipendente alla scelta di aumentare la tassazione sulle rendite finanziarie per sostenere l’abbattimento dell’Irap alle imprese, anche se risulta ancora poco chiaro il modo in cui verranno reperite le risorse economiche necessarie alla copertura di tali misure. Positiva, anche se non condivisa con le parti sociali, è anche la scelta di affidare ad una legge delega le questioni del lavoro (ammortizzatori sociali e forme contrattuali), ma solo ad una condizione: che tra Governo, sindacati e imprenditori si avrà modo di discutere in maniera approfondita, senza farsi prendere dall’ansia di decisioni affrettate. La nostra preoccupazione, alla luce delle recenti dichiarazioni del Ministro del lavoro, è quella che il Governo voglia depotenziare il sindacato, cominciando con l’escluderlo dai tavoli di concertazione e giustificando tale forma di emarginazione con la necessità di agire in fretta, perché l’emergenza finanziaria non può più attendere.
 
La reazione iniziale alla sfida lanciata dal premier Renzi ai sindacati è stata quella di una profonda delusione. Occorre però partire da questo stato d’animo per comprendere che probabilmente qualcosa non funziona più nel sindacato italiano e che, a fronte di un leader che ha fatto della rottamazione una chiave vincente per l’ascesa, la velocità di marcia del sindacato risulta ormai lenta e inadatta ai tempi.
Mentre il sindacato italiano è invitato a riflettere sulla fase di cambiamento che inevitabilmente lo coinvolge, l’auspicio è che il Governo non usi la crisi come grimaldello per uno stravolgimento epocale degli assetti che hanno retto finora il sistema welfare e le relazioni industriali. Se si raggiungesse questo punto non si avrebbero più spazi di manovra e uno dopo l’altro si romperebbero tutti i patti sociali nazionali finora raggiunti. E non è certo questa la “Svolta buona” di cui abbiamo bisogno oggi.
 
Giancarlo Bergamo
Segretario Generale UGL Terziario
 
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