Alcune osservazioni a proposito dell’indagine di Anpal sui servizi per l’impiego

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Bollettino ADAPT 22 novembre 2021, n. 41

 

Prime evidenze dell’indagine nazionale sui Centri per l’impiego

 

La recente pubblicazione da parte di Anpal dell’indagine “Servizi per l’impiego. Rapporto di monitoraggio 2020” permette di ricostruire l’organizzazione e il funzionamento dei Centri per l’impiego (Cpi), nonché i numeri delle attività da loro realizzate per tipologia di intervento, oltre alle caratteristiche degli operatori e al grado di soddisfazione da parte di cittadini e imprese. Considerando in particolare gli ambiti e i volumi dell’offerta dei Cpi, emergono luci e ombre di un sistema che, a distanza di oltre un ventennio, è ancora lontano dall’obiettivo di rappresentare un punto di riferimento per l’inserimento e il reinserimento delle persone nel mercato del lavoro. In questo quadro, l’indagine si dirama nell’analisi dei servizi erogati dai Cpi, osservandone la quota di attivazione, la loro sostenibilità in termini di competenze e risorse umane, i divari geografico-territoriali, le caratteristiche relative agli aspetti anagrafici e ai titoli di studio delle persone a carico, come pure il ruolo di interventi quali la Dichiarazione immediata di disponibilità, il Reddito di cittadinanza e Garanzia Giovani. 

 

In tal senso, a partire dai LEP (Livelli Essenziali di Prestazione) individuati dal D.M 4/2018, l’indagine delinea l’offerta funzionale dei Cpi, considerando 87 azioni di servizio raggruppate in 11 aree funzionali (si veda il Quadro sinottico 1, pagina 11 del report): Accoglienza e prima informazione; Procedure amministrative e profilazione; Orientamento di I livello e patto di servizio; Orientamento specialistico; Accompagnamento al lavoro; Incontro domanda e offerta di lavoro; Tirocini; Inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati; Rinvio alla formazione; Servizi alle imprese; Assistenza alla creazione d’impresa, autoimpiego.

 

L’offerta e l’attivazione dei servizi

 

Osservando la quota di attivazione di ognuna di queste aree, attraverso la realizzazione di almeno una delle azioni di servizio in cui l’area risulta declinata, emerge come le percentuali siano molto spesso superiori al 90%. Inoltre, è presente una forte corrispondenza tra il numero medio di azioni effettivamente attivate e il numero di prestazioni essenziali da garantire (LEP). Tuttavia, se si considera la percentuale di attivazione della totalità delle azioni di servizio delle singole aree funzionali, il tasso di attivazione sul totale delle azioni di servizio previste diminuisce fortemente, facendo registrare i dati più alti principalmente in quelle aree funzionali che prevedono servizi di base. A questo proposito, si registrano ambiti in cui la percentuale della totalità delle azioni di servizio attivate è molto elevata, come nel caso de Accoglienza e informazione dove i Cpi che sono a pieno regime rappresentano l’81%, ed aree funzionali più complesse, come Orientamento specialistico e Accompagnamento al lavoro, dove le percentuali di completa attivazione di tutte le azioni di servizio indicate si fermano rispettivamente a 26,4% e 33,5%. Situazioni di particolare criticità sono rappresentate dalle aree ‘Rinvio alla formazione’ e ‘Assistenza alla creazione d’impresa’, dove la percentuale di attivazione dell’intero set di azioni previsto si attesta rispettivamente al 6% e al 7,2%. Una cartina tornasole che fa emerge come ad un incremento della complessità e del livello di specializzazione dell’area diminuisce la percentuale di attivazione della totalità delle azioni di servizio previste, mostrando la grande difficoltà a garantire l’offerta su tutta la filiera.

 

L’impatto della mancanza di competenze sull’attivazione dei servizi

 

Nel considerare il quadro d’insieme del funzionamento dei Cpi, non si può inoltre prescindere da una verifica della sostenibilità, in termini di competenze e risorse umane, delle aree funzionali e delle singole azioni di servizio, mettendo in evidenza eventuali fabbisogni. A questo proposito, tra le prime dieci azioni che presentano una quota più elevata di attivazione con criticità per mancanza di competenze adeguate da parte degli operatori sono presenti ben tre azioni ascrivibili all’area funzionale dell’Orientamento specialistico: identificazione e certificazione delle competenze acquisite in contesti informali e non formali; identificazione e certificazione delle competenze; progettazione di percorsi/azioni di consulenza orientativa. Non sono tuttavia esenti da problematiche anche altre aree, come l’Accompagnamento al lavoro e il Rinvio alla formazione. In tal senso, l’impatto dovuto alla sofferenza di competenze si traduce in un modesto tasso di attivazione delle azioni di servizio di queste aree funzionali e in una carente dotazione di competenze di personale dovuta all’assenza di risorse adeguate o all’impossibilità di poterle utilizzare efficacemente, dovendo destinarle alla gestione di altre attività ordinarie. Al contrario, l’incidenza dell’attivazione con criticità è più bassa in corrispondenza di azioni che si riferiscono ai servizi informativi e alle procedure amministrative: Orientamento di primo livello, Accoglienza, Procedure amministrative, Raccolta dei Cv. Anche in questo caso, si ripropone lo scenario per cui all’aumento della complessità e della personalizzazione del servizio aumentano anche le criticità relative alla sostenibilità in termini di competenze a disposizione. Le funzioni di base a carattere amministrativo, adempimentale e di prima accoglienza mostrano infatti scarsa incidenza di criticità, unita ad un’elevata percentuale di attivazione in modo piuttosto omogeneo su tutto il territorio nazionale.

 

Differenze territoriali

 

La stessa trama sembra verificarsi anche a livello geografico dove, se da una parte il tasso di attivazione delle aree funzionali di base risulta sostanzialmente sovrapponibile nelle quattro aree (Nord-Est, Nord-Ovest, Centro, Sud e Isole), per quanto concerne l’attivazione delle aree funzionali contenenti servizi personalizzati (Accompagnamento al lavoro, Orientamento specialistico e Incontro tra domanda e offerta di lavoro) si registra una situazione di maggiore sofferenza al Sud rispetto al Centro-Nord, con una differenza di circa 10 punti percentuali. Anche in questo caso, per quanto concerne il numero medio di azioni di servizio attivate per ciascuna area funzionale, si verificano delle divergenze a livello geografico soprattutto in quei servizi aventi un maggior grado di complessità organizzativa. Con l’unica eccezione del Nord Ovest, dove i tassi rimangono contenuti, se si considerano le criticità di personale e competenze è invece presente una situazione di sofferenza diffusa a livello nazionale. Elemento che mette in risalto come, anche laddove vengono attivate azioni di servizio, ciò viene fatto in una condizione di carenza di risorse di questo tipo. Nello specifico, il Sud e le Isole presentano livelli di criticità che sono in certi casi doppi, se non tripli, rispetto ad altre realtà del paese. Per quanto riguarda il Nord Est, nel 36,1% dei casi vengono attivate con criticità azioni afferenti all’Orientamento specialistico, il 29,2% di quelle afferenti all’Accompagnamento al lavoro, il 19,5% di quelle dei Servizi per le imprese. Nel Centro Italia, i Cpi attivano con criticità di personale il 19,3% delle azioni di Orientamento specialistico, il 17,2% di quelle di Accompagnamento al lavoro, il 10,5% di quelle di Servizio di accoglienza. Ancora una volta, guardando alle azioni attivate nelle singole aree funzionali, è possibile osservare come più ci si discosta dalle azioni principalmente attivate (aree funzionali di base) più si osserva un incremento dei divari territoriali. In particolare, ciò si verifica per le azioni organizzativamente più complesse (verifica periodica di feedback; attività altamente specialistiche di orientamento, accompagnamento e progettazione, ecc.) e i servizi più avanzati e personalizzati rispetto ai servizi basilari (scouting della domanda di lavoro; promozione delle candidature, ecc.).

 

I LEP (Livelli Essenziali di Prestazione) nei Centri per l’impiego

 

Il rapporto si concentra poi sui LEP, definiti come le prestazioni essenziali che determinano i requisiti necessari per l’esercizio delle funzioni dei Cpi. A questo propositivo, vengono proposte due modalità di lettura: una “debole” e una “forte”. Per quanto riguarda la prima, un’area funzionale viene considerata attiva se almeno una delle azioni che compongono la filiera viene eseguita. Tuttavia, questa interpretazione appare essere la più distante dall’idea che i LEP costituiscano un insieme omogeneo di azioni esigibili. Utilizzando questo criterio, le quote di attivazione di ciascuna prestazione risultano infatti elevate nella quasi totalità delle prestazioni considerate, presentando divari territoriali molto meno accentuati. Tuttavia, anche in questo caso, risultano essere più ampiamente attivate quelle attività di natura adempimentale, info-orientative e gestionali a supporto della presa in carico delle persone. Guardando invece al criterio di attivazione “forte”, questo prevede che un’area funzionale sia considerata attiva laddove vengano effettivamente attivate tutte le azioni che compongono la filiera. Come è possibile immaginare, attraverso l’applicazione di questo criterio il tasso di attivazione dei LEP risulta essere molto più contenuto, con incrementi dei divari a livello territoriale. Per quanto riguarda l’incidenza delle azioni rientranti nei livelli essenziali di prestazione sul totale delle prese in carico, si registra un tasso relativamente alto per il LEP B (Did, profilazione e aggiornamento Scheda anagrafico professionale) e il LEP C (Orientamento di base), rispettivamente al 19,4% e 20,6%. I Cpi del centro-nord distanziano nettamente quelli del Sud, con tassi di incidenza sulle prese in carico più elevati dal LEP A (Accoglienza e prima informazione) al LEP E (Orientamento specialistico). I tirocini (LEP F2) rappresentano inoltre il terzo bacino di offerta per incidenza sulle prese in carico (9,8%). Per la restante parte delle prestazioni più complesse e specialistiche si conferma quanto osservato per la corrispondente offerta di servizi: l’incidenza sulle prese in carico si attesta su valori modesti e le differenze territoriali si attenuano.

 

I volumi di attività dei Cpi nel biennio 2019-2020

 

Guardando ai volumi di attività dei Cpi, nel biennio 2019-2020 sono state oltre 2,9 milioni le prese in carico effettuate dai Cpi, di cui circa il 65%, pari a oltre a 1,9 milioni, nel 2019. Per quanto riguarda l’impatto della pandemia, viene riportato come nel 2020 si sia registrato un saldo negativo di quasi 900 mila prese in carico (-46,6%). Gli effetti si sono rilevati più marcati per la componente maschile (-47,9%) e per la classe di età over 35 (-48,7% per 35-44 anni; -49,1% 45-54 anni; -42,2% over 54 anni). Rispetto alle prese in carico complessive nel biennio, il genere femminile sembra prevalere leggermente su quello maschile (51,5%, pari a 1.521.413). Le classi di età più presenti sono quelle centrali (20-54 anni, quasi l’80%). Non indifferente anche la presenza di stranieri con il 15,5% delle prese in carico sul totale. Di interesse è inoltre il dato sui titoli di studio, che vede l’85,4% delle prese in carico riguardare persone con un titolo di studio corrispondente alla scuola secondaria inferiore o alla scuola secondaria superiore. Dal punto di vista geografico, poco meno di 3 prese in carico su 10 (29,5%) sono effettuate in Cpi del Sud peninsulare.

 

L’impatto della Dichiarazione immediata di disponibilità, del Reddito di Cittadinanza e di Garanzia Giovani sulla dimensione delle attività dei Cpi

 

Esaminando infine le prese in carico per tipo di intervento, risulta interessante considerare come tre prese in carico su quattro (77,7%) siano riconducibili all’area di intervento della Dichiarazione immediata di disponibilità (Did). Il 13,7% rientra nell’ambito del patto per il lavoro del Reddito di cittadinanza (Rdc) e l’8,5% all’interno del programma Garanzia Giovani (GG). Nell’ambito di questi interventi, in relazione alle azioni di servizio che seguono i primi contatti, il 22,7% delle prese in carico è seguita dall’offerta di un Orientamento di I livello, comunque propedeutico alla stipula del Patto di servizio. Tuttavia, all’aumentare della complessità e della personalizzazione del servizio offerto si registra un drastico crollo dell’attivazioni. Un caso emblematico è rappresentato dal passaggio all’azione di Orientamento specialistico e di Accompagnamento al lavoro, rispettivamente al 6,1% e al 2,3%. Per quanto riguarda la distribuzione dell’offerta di servizi e misure per tipo di intervento nell’ambito del quale avvengono le prese in carico, si evidenzia una forte concentrazione dei servizi di Orientamento di base e Tirocinio (66,8% e 67,7%) nell’ambito Did. Il resto delle azioni è invece presente prevalentemente nel programma Garanzia Giovani. Un aspetto che fa dunque riflettere su una maggiore capacità di questo intervento nel finalizzare, seppur non senza difficoltà, le prese in carico degli utenti. A questo proposito, è possibile osservare come Garanzia Giovani presenti un tasso di attivazione delle aree funzionali di intervento quasi sempre al di sopra degli altri programmi. È inoltre l’unico intervento che conta attivazioni di apprendistato, seppur nel numero residuale di 177 nell’arco del biennio 2019-2020. Guardando invece al Reddito di cittadinanza, all’Assegno di ricollocazione Naspi-Cigs e alla Dichiarazione immediata di disponibilità si evidenzia sostanzialmente una forte interruzione del proseguimento delle azioni, successive alla presa in carico e al primo step di Orientamento di I livello, con qualche sporadica risalita in altre aree funzionali della filiera. Osservando le caratteristiche di genere, se si considerano le azioni di servizio offerte dopo le prese in carico, la fascia di età dominante si sposta invece verso coloro che hanno tra i 15 anni e i 34 anni, pur mantenendosi con tassi molto bassi. Quanto al titolo di studio, è possibile osservare come l’offerta di servizi e misure successive alla presa in carico abbia una incidenza generalmente più elevata rispetto al dato complessivo, in corrispondenza dei livelli di istruzione di scuola secondaria superiore e di istruzione terziaria.

 

Gli operatori dei Centri per l’Impiego

 

Il rapporto si sposta poi sugli operatori, andando ad analizzarne caratteristiche anagrafiche, distribuzione territoriale, ma anche competenze e carichi lavorativi. Guardando al dato quantitativo, il loro numero complessivo è leggermente diminuito rispetto alla precedente rilevazione del 2016, oggi si contano 7772 dipendenti, prevalentemente assunti a tempo indeterminato e con una età media piuttosto alta, pari a 54,7 anni.

 

Interrogati in merito, tutti i Centri per l’Impiego italiani ritengono di non avere un numero di operatori adeguato, sia al Nord che al Sud: analizzando questi ultimi, il rapporto evidenzia come raccolgano la stragrande maggioranza dei dipendenti dei Cpi (basti pensare alla Sicilia con i suoi 1741 operatori). Tuttavia, se si prende il dato dell’utenza potenziale per addetto, ossia considerato anche le forze lavoro potenziali e quindi gli inattivi, con i numeri attuali nel Mezzogiorno si hanno 861 utenti potenziali per addetto, numeri chiaramente insostenibili con il personale attualmente in forza.

 

Altro leit motiv che ritorna spesso quanto si parla di Centri per l’Impiego è quello relativo al mismatch di competenze degli operatori, avvertito dagli stessi centri. Ciononostante, negli ultimi mesi all’incirca il 90% dei Cpi (escludendo il Mezzogiorno, dove la perccentuale è molto più bassa, pari al 68,4%) ha formato i propri collaboratori nell’ultimo anno, facendo sorgere la domanda se non si possano pensare interventi formativi più mirati, dato il feedback comunque negativo sulle competenze degli operatori.

 

L’analisi si sposta poi sui navigator, precisando che il loro ruolo è complementare a quello dei CPI, in raccordo e a supporto degli stessi (ex DM n. 74/2019), andando ad analizzare il loro ruolo in rapporto ai CPI. Guardando all’operatività di queste figure, anche in questo caso, si ha un dato abbastanza spaccato in due tra Nord e Centro rispetto a Sud e Isole: mentre nel primo caso si sfiorino picchi molto alti (97,3% al Nord-Ovest) al Mezzogiorno solamente il 72% dei navigator è entrato a regime.

 

Il grado di soddisfazione degli utenti dei Centri per l’impiego: persone e imprese

 

Nel capitolo 5, il rapporto analizza la soddisfazione degli utenti dei Cpi, prendendo come campione coloro che negli ultimi anni hanno sottoscritto o rinnovato la Dichiarazione di Immediata Disponibilità.

 

Pochissimi degli intervistati hanno dichiarato di essersi rivolti a un Cpi per essere indirizzati verso un’esperienza formativa (6,8%), a testimonianza di come si tenda a vedere i due mondi come separati ancora oggi, mentre la maggior parte delle persone cerca semplicemente un lavoro o un tirocinio; non si può nemmeno trascurare la percentuale di persone senza aspettative particolari (18,3%). Altro dato significativo indica come si è entrati in contatto con il centro: solamente il 18,3% è stato contattato da un operatore.

 

Oltre il 35% di coloro che hanno sottoscritto un Patto di servizio non è stato coinvolto in nessuna attività di politica attiva del lavoro e, di quelli che l’hanno iniziata, solo il 26,7% l’ha portata a termine. Inoltre, tra i lavoratori usciti dal circuito del Cpi, il 76,8% ha trovato lavoro autonomamente e non grazie al supporto del centro, con un ruolo importante nel trovare lavoro dato alle relazioni personali (37,7%), elemento tipico del nostro Paese.

 

Il servizio principale erogato dai Cpi è stato un colloquio individuale o di gruppo con un operatore, seguito dall’assistenza/informazione sulla ricerca di lavoro. Tuttavia, solo il 6% dei pattisti ha goduto di entrambi i servizi.

 

Il grado di soddisfazione complessivo è pari solamente al 46,7%, di cui solamente il 12,2% si dichiara molto soddisfatto, percentuali che scendono al Mezzogiorno e che devono obbligatoriamente portare ad una riflessione. Un grado di soddisfazione elevato si registra, in sostanza, laddove la presa in carico dell’utente è stata positivamente finalizzata verso un progetto personalizzato, un’iniziativa di politica attiva, una concreta risposta di servizio da parte dei Cpi. Appaiono infatti maggiormente soddisfatti gli utenti coinvolti nel programma Garanzia Giovani (61,9%), gli utenti che hanno ricevuto servizi di assistenza personalizzata di ricerca di lavoro (67,2%) o in generale informazione e assistenza per le proprie attività di ricerca di un tirocinio o di un impiego (52,6%). Sono risultati apprezzati anche i servizi consulenziali per la creazione d’impresa (53%).

 

Per quanto riguarda le imprese, invece, il dato iniziale da cui partire riguarda la sfiducia totale verso questo tipo di istituzioni: solamente il 7% negli ultimi 12 mesi ha utilizzato i servizi dei Cpi, prevalentemente aziende sotto ai 9 dipendenti (61% dei casi); solo il 10,7% di queste ha più di 50 dipendenti. Da notare in coppia con il dato appena illustrato è quello delle persone poi assunte in seguito a segnalazione del Cpi: il 56% sono aziende sopra i 50 dipendenti (pur costituendo solamente poco più del 10% della platea dei “clienti” dei Cpi).

 

I servizi più richiesti dalle aziende sono gli adempimenti amministrativi e la ricerca e la selezione del personale, pressoché trasversalmente alla collocazione geografica lungo la penisola.

 

Dal punto di vista della soddisfazione, nel complesso il 58,2% delle imprese si dichiara soddisfatto, con picchi di soddisfazione riguardo gli operatori (65,5%) e valori più bassi per la corrispondenza dei candidati (45,3%).

 

Conclusioni e spunti di analisi

 

Come emerge da questa breve ricostruzione, in generale i Cpi faticano ad andare oltre l’ingolfo delle prese in carico. Il leitmotiv ricorrente è rappresentato dal fatto che, da una parte, riescono ad erogare servizi legati a funzioni base che spaziano dagli adempimenti amministrativi, alla prima informazione e al complesso di azioni informativo-orientative necessarie alla presa in carico delle persone e alla stipula del patto di servizio. Dall’altra parte, è tuttavia ancora debole e lontana dall’essere a pieno regime l’attivazione delle aree funzionali più strategiche e complesse a livello organizzativo e di competenze richieste: orientamento specialistico, accompagnamento al lavoro, incontro domanda-offerta di lavoro. Uno spartito che mette in evidenza la scarsa capacità dei Cpi di raggiungere quote significative di utenti presi in carico finalizzandone l’attivazione. A questo proposito, i LEP, pur rappresentando uno strumento utile al perseguimento dell’obiettivo di ordinare il sistema nazionale dei servizi per l’impiego, facendo convergere i sistemi regionali all’interno di un quadro comune di standard operativi, sembrano avere poco effetto sulle difficoltà dei Cpi nel perseguire le azioni delle aree funzionali più complesse e personalizzate, nonché strategiche. Il risultato è che le persone rimangono di fatto arenate allo step della presa in carico e all’attivazione delle azioni di servizio più basilari, senza proseguire in un vero e proprio percorso di inserimento nel mondo del lavoro. In tal senso, sembra dunque necessario portare avanti un ragionamento circa le competenze (anche in termini di fabbisogno) a disposizione dei Cpi per l’adempimento della loro missione, oltre che su una più fluida integrazione della filiera delle aree funzionali, e delle relative azioni di servizio, così da permettere che dalla presa in carico vi sia un reale progresso della persona lungo tutto il percorso di reinserimento.

 

Inoltre, è interessante porre luce su alcuni aspetti. Se si guarda al livello di istruzione, è possibile rilevare un’ampia quota di persone prese in carico aventi un livello di studio medio-basso. Il dato vede infatti una presenza significativa di persone con un titolo secondario superiore (il 40,9%, 1.208.535) e, con un numero ancora maggiore, di persone aventi un titolo secondario inferiore (il 44,5%, 1.312.632), a fronte di una quota di persone in possesso di un livello terziario di istruzione pari a 377.885, appena il 12,8%. Tuttavia, se si considera il passaggio successivo alla presa in carico, con l’offerta dei servizi e di misure di politica attiva, le percentuali sopraindicate vedono un’inversione di tendenza. In proporzione è infatti più ampia la platea di coloro in possesso di un titolo terziario che hanno ricevuto un’azione di servizio oltre la presa in carico (il 30,1%), rispetto alla percentuale di coloro in possesso di un titolo secondario inferiore e di un titolo secondario superiore, le cui percentuali si attestano rispettivamente al 19,5% e al 24,7%. Questo aspetto fa dunque riflettere sulla maggiore difficoltà da parte dei Cpi a proseguire oltre la mera presa in carico, attraverso un percorso di (re)inserimento lavorativo, con le persone meno qualificate rispetto a quelle in possesso di un titolo di studio terziario. Sul fronte anagrafico, se consideriamo le sole prese in carico, la classe dominante (in termini numerici) è rappresentata dalle persone tra i 20 e i 54 anni. Tuttavia, prendendo a misura anche le azioni di servizio offerte successivamente, la fascia di età dominante si sposta verso coloro che hanno tra i 15 anni e i 34 anni, facendo quindi intendere una maggiore possibilità da parte delle classi di età più giovani a proseguire lungo il percorso delle aree funzionali, seppur non senza criticità. Elemento che può forse trovare un collegamento con il fatto che Garanzia Giovani, rivolto alle persone di età 15-29 anni, rappresenta il tipo di intervento (stando al report) maggiormente in grado, in termini numerici, di finalizzare le prese in carico delle persone, offrendo servizi e misure concernenti anche aree funzionali più complesse (Orientamento specialistico; Formazione; Accompagnamento al lavoro), nonostante rappresenti soltanto l’8,5% delle prese in carico totali a fronte delle 13,7% del Reddito di cittadinanza e del 77,7% della Dichiarazione immediata di disponibilità.

 

Questi dati sono il riflesso, come è normale che sia, anche delle caratteristiche degli operatori, dato che all’interno degli stessi Centri emerge come il numero e le competenze del personale attualmente in forza non sia adeguato a soddisfare i bisogni della popolazione.

 

Per concludere quest’analisi, non si può prescindere dal feedback che proviene dai fruitori del servizio, ossia cittadini e imprese. Come affermato precedentemente, i primi riportano un grado di soddisfazione tendenzialmente basso e spesso escono dal circuito dei Cpi per altre strade rispetto a quelle provenienti dagli operatori. Inoltre, proprio da parte di questi ultimi sarebbe probabilmente opportuna una maggiore proattività, dato che solamente il 18% di coloro che si sono rivolti a un Centro è stato contattato direttamente da un operatore.

 

Per quanto riguarda le aziende, è evidente una totale sfiducia verso questo sistema, in particolare da parte di quelle sopra i 50 dipendenti, dato dal numero esiguo di imprese che si rivolgono alle strutture. Per superare questo elemento, causato in parte da stigma e in parte dai risultati non eccellenti che emergono anche da questo rapporto, potrebbe essere utile strutturare dei partenariati pubblico-privati sul modello di quelli attuati da molte APL: corso di formazione professionalizzante (magari in parte svolto all’interno di un’azienda) seguito da un inserimento immediato di alcuni partecipanti in aziende partner interessate ai profili che si vanno a formare.

 

Dario Frisoni

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@FrisoniDario

 

Tommaso Galeotto

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@TommasoGaleotto

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