Alcune considerazioni sulla proroga “forzata” dei contratti a tempo determinato

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Bollettino ADAPT 24 agosto 2020, n. 30 

 

La legge 17 luglio 2020, n. 77, di conversione del decreto-legge n. 19 maggio 2020, n. 34 (c.d. Decreto Rilancio), ha modificato l’art. 93, aggiungendo il comma 1-bis, che “in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da COVID-19” dispone la proroga “di una durata pari al periodo di sospensione dell’attività lavorativa” dei “contratti di lavoro degli apprendisti di cui agli articoli 43 e 45 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, e dei contratti di lavoro a tempo determinato, anche in regime di somministrazione”.

 

La norma, per quanto apparentemente chiara, susciterebbe alcuni dubbi, anche sotto il profilo della sua legittimità costituzionale. Procedendo con ordine, in prima battuta è doveroso rilevare come il legislatore sembrerebbe aver voluto rafforzare la deroga alla regola generale – secondo cui “l’apposizione di un termine alla durata di un contratto di lavoro subordinato non è ammessa […] presso unità produttive nelle quali sono operanti una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario in regime di cassa integrazione guadagni, che interessano lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a tempo determinato” (art. 20, comma 1, lett. c) del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81) – introdotta di recente con la legislazione emergenziale.

 

Già il decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. Decreto Cura Italia), convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, infatti, aveva disposto  che “considerata l’emergenza epidemiologica da COVID-19, ai datori di lavoro che accedono agli ammortizzatori sociali di cui agli articoli da 19 a 22 […] è consentita la possibilità, in deroga alle previsioni di cui agli articoli 20, comma 1, lettera c), 21, comma 2, e 32, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, di procedere, nel medesimo periodo, al rinnovo o alla proroga dei contratti a tempo determinato, anche a scopo di somministrazione” (art. 19-bis, comma 1).

 

Pertanto, da una opzione possibilista, sancita dall’art. 19-bis, comma 1 del Decreto Cura Italia, si è passati ad una opzione obbligatoria disposta dall’art. 93, comma 1-bis del Decreto Rilancio. Infatti, il dato letterale dell’art. 93, comma 1-bis non lascerebbe spazio a dubbi: la proroga del contratto a tempo determinato pari alla durata del periodo di sospensione scatta automaticamente e, quindi, a prescindere dalla volontà delle parti. La ratio di questa norma riposa sul presupposto che a causa della necessaria sospensione delle attività produttive, le parti non hanno potuto reciprocamente trarre beneficio dalla relazione contrattuale per il tempo prestabilito; pertanto, il legislatore ha provveduto a spostare in avanti il momento della conclusione del rapporto, per un periodo pari a quello della sospensione, durante la quale sono stati utilizzati gli ammortizzatori sociali emergenziali (in questo senso, cfr. il parere della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, P. Staropoli (a cura di), Proroga obbligata per i contratti a tempo determinato, 27 luglio 2020).

 

In realtà, l’automatismo della proroga di cui all’art. 93, comma 1-bis permetterebbe anche di tutelare il lavoratore attraverso il prolungamento della durata del rapporto, che altrimenti si troverebbe esposto ad un possibile periodo di disoccupazione prolungato. E’ possibile riscontrare questa forma di tutela per le tipologie contrattuali non standard anche nell’ordinamento spagnolo, in cui, con una disposizione similare, il legislatore ha previsto che il calcolo della durata dei contratti formativi, a termine e interinali, interessati da una sospensione della prestazione (per cause di forza maggiore o per motivi economici, tecnici, organizzativi o collegati alla produzione) può essere interrotto, sia che si tratti della durata concordata dalle parti, sia che si tratti della durata massima. Questa disposizione spiegherà gli effetti fino al 30 settembre 2021 (per un approfondimento, v. R. Lacomba Pérez, La suspension y extincion de contratos temporales durante la crisis sanitaria del Covid-19, in Ius Labor, 2020, n. 2, pp. 42-47). L’argomento per giustificare questa misura si fonda sul presupposto che l’interruzione dell’attività economica, derivata da COVID-19, rende impossibile per le parti raggiungere lo scopo per il quale è stato sottoscritto il contratto.

 

Presupposto indefettibile per poter accedere a questo meccanismo è rappresentato dal coinvolgimento del lavoratore assunto a tempo determinato nel “periodo di sospensione dell’attività; locuzione nella quale rientrerebbe, a parere del Ministero del Lavoro, oltreché i “periodi di fruizione di un ammortizzatore sociale Covid-19” anche la fruizione delle ferie. Sebbene questa precisazione sia stata fornita con uno strumento insolito (cfr. FAQ del 27 luglio 2020) in sostituzione della consueta circolare (forse, per ragioni di celerità operative), l’opzione interpretativa del Ministero non è priva di fondamento se teniamo in debita considerazione che l’istituto delle ferie è stato utilizzato nei primi provvedimenti legislativi per fronteggiare l’emergenza, nell’ottica di diminuire le occasioni di contagio attraverso una sostanziale sospensione delle attività di lavoro. Il Governo, infatti, ha fin da subito incentivato le imprese private ed anche la Pubblica Amministrazione a “promuovere […] la fruizione da parte dei lavoratori dipendenti dei periodi di congedo ordinario e ferie (cfr. art. 1, comma 1 del DPCM 8 marzo 2020). Inoltre, non va dimenticato che in diversi accordi aziendali stipulati per disciplinare l’accesso agli ammortizzatori sociali, è stato introdotto il requisito dello smaltimento residuo delle ferie prima accedere al periodo di sospensione. Sarebbero questi i presupposti, ad avviso di chi scrive, che avrebbero fatto maturare l’idea di valutare nel periodo di sospensione anche il periodo di ferie utilizzato in via del tutto emergenziale (per una disamina, v. G. Piglialarmi, Sulla promozione delle ferie e dei congedi ai sensi dell’art. 1, comma 1 lett. e) del DPCM dell’8 marzo 2020 dopo l’entrata in vigore del Decreto “Cura Italia”, in Boll. ADAPT 18 marzo 2020, n. 3).

 

Non sembrerebbe, invece, rilevare ai fini dell’applicazione della misura la data di stipulazione del contratto; presupposto questo necessario per usufruire del regime di proroga di cui all’art. 93, comma 1 (“…in essere alla data del 23 febbraio 2020…”). Il comma 1-bis, infatti, sembrerebbe avere un’operatività di più ampio respiro agganciando la sua legittima applicazione al requisito della sussistenza di un contratto a termine in essere al 18 luglio (data di entrata in vigore della modifica) che sia stato soggetto ad un periodo di sospensione.

 

Naturalmente, questa apertura non è del tutto priva di criticità giacché le ferie non sono l’unico strumento utilizzato per “tamponare” un’emergenza del tutto inaspettata. Infatti, la legislazione emergenziale ha “dilatato” anche l’istituto dei congedi per garantire una maggiore estensione del periodo di sospensione, maggiore e aggiuntiva a quella prevista per gli ammortizzatori sociali. Questa considerazione potrebbe autorizzare l’interprete a ritenere che nel periodo di sospensione possano essere considerati anche i periodi coperti dalle varie tipologie di congedo utilizzati e/o introdotti durante la fase emergenziale.

 

Come accennavamo in apertura di questa riflessione, l’art. 93, comma 1-bis potrebbe essere esposto a dubbi di legittimità costituzionale se interpretato nella misura in cui l’obbligatorietà della proroga travolga anche l’autonomia delle parti. Infatti, è ragionevole ritenere che qualora, in prossimità della scadenza del contratto a tempo determinato, il lavoratore sia stato selezionato da un’altra azienda, questo possa sottrarsi alla stipulazione della proroga in favore di un nuovo rapporto di lavoro con altro datore di lavoro, magari caratterizzato da una maggiore stabilità. Diversamente, si finirebbe per “imprigionare” la libertà contrattuale dentro schemi di tutela ideati per tutelare situazioni differenti.

 

Ulteriori dubbi di legittimità potrebbero sorgere se si tiene in debita considerazione che questo meccanismo – salvo che il lavoratore si dimetta per propri interessi, come detto – può incidere negativamente sotto il profilo della libertà di organizzazione di cui gode il datore di lavoro giacché la disposizione genera un obbligo in capo all’imprenditore di ricevere una prestazione a prescindere dalla sua effettiva utilità o necessità (cfr. art. 1174 cod. civ.). Esemplificativa di questo “disagio” è la casistica che vede la proroga di un contratto a termine stipulato per ragioni sostitutive nel periodo in cui rientra il lavoratore sostituito (si veda sul punto Angelo Candido, Decreto rilancio, quella proroga forzosa dei contratti a tempo determinato di cui non si sentiva il bisogno, in Boll. ADAPT 24 agosto 2020, n. 30  – anticipazione).

 

I contratti di lavoro stagionali sarebbero da ricomprendere nel campo di applicazione sebbene la disposizione sia molto vaga sul punto. Facendo riferimento “anche” ai contratti in regime di somministrazione (anche se non è stato chiarito se la proroga opererebbe nel rapporto tra agenzia e lavoratore o tra quest’ultimo e l’utilizzatore) ([1]), il legislatore avrebbe voluto allargare quanto più possibile le maglie operative della norma, anche al fine di evitare irragionevoli disparità di trattamento con contratti quali sub-specie del contratto a tempo determinato. Certamente, se lo slittamento della durata del contratto dovesse concretizzarsi in un periodo in cui l’azienda stagionale non è operativa (perché ad esempio si esauriscono le giornate di lavoro effettive annuali) il contratto deve considerarsi risolto terminato il periodo di sospensione, in quanto viene meno la causa dello stesso.

 

Per quanto concerne il limite massimo del numero delle proroghe del contratto a termine, oggi pari a 4 nell’arco di 24 mesi così come disposto dall’art. 21, comma 1 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 e s.m.i., l’art. 93, comma 1-bis non dovrebbe generare un corto circuito – come è stato paventato – se si tiene in debita considerazione che qualora il contratto dovesse essere prorogato per la quinta volta in virtù di quanto previsto dalla norma, si tratterebbe di una proroga di carattere speciale, del tutto avulsa dal meccanismo di computo ordinario. Infatti, questa non è legata alla libertà contrattuale ma ad una necessità fissata dalla norma.

 

Piuttosto, solleva qualche perplessità il riferimento ai contratti di apprendistato. Infatti, a parere di chi scrive, non era impellente coinvolgere la tipologia contrattuale giacché l’art. 93, comma 1-bis si atteggerebbe a “duplicato normativo” dell’art. art. 42, comma 5, lett. g) del d.lgs. n. 81 del 2015 che prevede la “possibilità di prolungare il periodo di apprendistato in caso di malattia, infortunio o altra causa di sospensione involontaria del lavoro, di durata superiore a trenta giorni”.

 

Nelle FAQ del 27 luglio 2020, il Ministero del Lavoro ha fornito l’indicazione operativa in base alla quale il datore di lavoro, entro cinque giorni dalla data di scadenza prevista del contratto, è tenuto ad effettuare la comunicazione obbligatoria di proroga, modificando il termine iniziale per un periodo equivalente a quello di sospensione dell’attività lavorativa. Se questa comunicazione non dovesse avvenire per qualsiasi ragione, ivi compresa quella legata alle dimissioni del lavoratore, sarebbe legittimo ritenere che il lavoratore possa presentare domanda per il riconoscimento dell’indennità di disoccupazione.

 

Giovanni Piglialarmi

Assegnista di ricerca presso il centro studi DEAL (Diritto Economia Ambiente Lavoro)
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

@Gio_Piglialarmi

 

([1]) Secondo la Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro “è da comprendere, nell’ambito della utilizzazione di una prestazione resa in regime di somministrazione a termine, quale sarà la sorte del contratto che lega il datore di lavoro alla agenzia di somministrazione. L’automaticità della proroga infatti opera soltanto per il rapporto intrattenuto dall’utilizzatore con il somministrato per la prestazione lavorativa. Dalla legge nessun cenno sulle ricadute di questa previsione rispetto al contratto tra il datore di lavoro e l’agenzia di somministrazione che, di fatto, dovrebbe seguire le sorti del rapporto di lavoro, senza però alcuna previsione esplicita in tal senso, o disciplina degli eventuali oneri accessori che l’agenzia potrebbe pretendere. Appare perciò difficile giustificare un’efficacia espansiva della automaticità in discorso anche a questo contratto parallelo. Cionondimeno, la necessità che anche questo segua le sorti di quello, prorogato ex lege, che regola il rapporto di lavoro, appare inevitabile, così come l’esigenza di una esplicita previsione in tal senso”; v. sempre il parere della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, P. Staropoli (a cura di), Proroga obbligata per i contratti a tempo determinato, 27 luglio 2020.

 

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