Largo al merito con i centri per l'impiego privati

Con il suo primo libro, Meritocrazia, racconta di aver cambiato la vita a 7 milioni di persone: «Convinsi l’allora ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini a testare gli studenti con i test Invalsi, estendendo i criteri con un piano nazionale di merito e qualità».
 
Roger Abravanel, ex McKinsey, oggi opera nel settore del private equity. Sua anche la presidenza onoraria del «Forum della meritocrazia», che ha da poco pubblicato un’indagine sulla percezione dei lavoratori sulla capacità di leadership e di valorizzazione del capitale umano nelle loro organizzazioni.
 
Il risultato? Esprimono una valutazione molto critica: il gap sulla percezione generale è del 16% rispetto alle aziende italiane e del 24% rispetto alle europee.
 
Oggi il dibattito politico è incentrato anche sul merito: la polemica sull’articolo 18 impone un ragionamento anche di questo tipo?
«Non direi: purtroppo i politici stanno parlando sempre più di merito ma alle parole non seguono i fatti. Il dibattito sul licenziamento disciplinare, per cui il governo prevede il reintegro, dimostra che si è capito ben poco di come è cambiato il mondo».
 
Si spieghi meglio.
«Nel secolo scorso c’erano fabbriche e operai a cui pensare, il nostro Paese oggi è però una società di servizi, per cui se l’operatore del call center sbaglia a dare un’informazione o se il banchiere consiglia il derivato sbagliato a un cliente crea un danno enorme all’azienda. Il licenziamento disciplinare apre una grande questione sul merito ma in Italia non se ne riesce a parlare, così come della premialità per chi vale e lavora bene».
 
Lei si è laureato giovanissimo. Pensa che ci siano ancora opportunità per chi esce dall’università oggi?
C’è un grande divario tra chi è protetto dall’articolo 18 e chi invece è licenziabile e un contratto a tempo indeterminato non lo avrà mai. Dico però che non c’è nessuno scandalo: a 40 anni un indeterminato serve per programmare la propria vita, a 30 invece è normale non sapere che cosa si farà dopo 10 anni. Chi ha in mano una laurea o un diploma oggi pretende di trovare un posto di lavoro per il fatto di aver terminato gli studi, ma così non è. Il lavoro migliore oggi nella direzione di una società meritocratica è quello svolto dalle agenzie per il lavoro private. Fossi al governo privatizzerei i centri per l’impiego, che troppo spesso danno lavoro agli amici, e li darei in mano ai privati, che conoscono il mercato e fanno per davvero selezione sulla base del merito».
 
La selezione quindi è il primo passaggio?
«Le economie del capitale umano contano sulle persone, non sui capi. Se uno è bravo, rimane. E questo lo devono capire anche gli imprenditori dei capannoni: non saranno i figli i loro migliori successori e non sono soltanto loro a saper innovare. Questo passaggio è fondamentale, perché le organizzazioni devono imparare a valorizzare il proprio capitale umano. Il miglior giudice, alla fine, è il mercato. Sono i risultati il vero banco di prova, glielo dice uno dei pochissimi liberali veri rimasti in questo Paese».
 
Fosse in Renzi cosa farebbe e cosa non farebbe per creare una società fondata per davvero sul merito?
«Sono rimasto molto deluso da un premier che assume i precari nel pubblico senza un concorso, quando magari altrettanti giovani sarebbero stati in grado e in modo migliore di svolgere il lavoro. La prima cosa su cui puntare è il mondo della scuola. La politica deve poi tenere la barra dritta sul rispetto delle regole e della legalità. Renzi dovrebbe secondo me anche dotarsi di persone valide al suo fianco: nei ministeri vedo poca meritocrazia. Bene ha fatto a portarsi a Roma, nel team del ministero, Mario Barbuto, colui che è riuscito a ridurre i tempi della giustizia civile nel tribunale di Torino. Ce ne vorrebbero di più, di persone così».
 
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Largo al merito con i centri per l'impiego privati
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