1955-2015: automazione e lavoro a sessant’anni di distanza

Il 5 ed il 6 novembre si terrà a Vienna il settimo forum dedicato a Peter Drucker, un economista vissuto nel secolo scorso definito come “l’uomo che inventò il management”. L’originalità e la lungimiranza del suo pensiero sono ciò che lo rende attuale e degno di attenzione anche a distanza di anni.

Esempio emblematico è l’articolo La macchina comanda la macchina edito sul numero 1 de L’Espresso del 2 ottobre 1955, in cui l’autore discute dei cambiamenti che sarebbero intervenuti nella gestione delle imprese a seguito dell’introduzione di macchinari in sostituzione dei lavoratori. Il riferimento a questo articolo e non ad altri successivi, ci consente di guardare al tema dell’automazione del lavoro, arricchendo la nostra visuale con quanto sostenuto da chi si è interrogato sugli effetti del cambiamento nelle sue prime fasi.

 

Pur essendo il fenomeno dell’automazione ancora agli albori, Drucker era conscio dell’influenza che avrebbe potuto avere in futuro, tanto che sembra presagire non solo la terza rivoluzione industriale ma anche l’Industry 4.0. Quando nell’articolo scrive che le macchine, e non più l’uomo, si occuperanno di controllare la temperatura dei macchinari e di ottenere informazioni sull’andamento del lavoro sembra immaginare qualcosa di molto simile a big data ed internet delle cose.

 

Drucker studia l’influenza dell’automazione nell’economia e giunge alla conclusione che l’introduzione di macchinari nel sistema produttivo non provoca una diminuzione dell’occupazione. I lavoratori, infatti, saranno destinati a svolgere mansioni diverse da quelle per cui vengono impiegati i macchinari e dovranno specializzarsi, passando da non specializzati a semispecializzati ed infine a specializzati.

 

A conferma di questa tesi si possono leggere alcuni studi recenti, come quello svolto da Deloitte Consultancy, che dimostrano come l’automazione abbia degli effetti sul mercato tali per cui sia possibile lo spostamento degli occupati dallo svolgimento di attività standard ad attività non standard. In particolare l’analisi, svolta in Inghilterra e Galles dal 1871, mostra come le nuove tecnologie aprono le porte a nuovi mestieri; si pensi, ad esempio, agli sviluppatori di software e ai social media strategist. Inoltre l’automatizzazione dei processi produttivi rende alcuni tipi di beni, soprattutto quelli di primaria importanza, meno costosi facendo crescere la domanda di servizi svolti da manodopera non specializzata. È comunque opportuno segnalare come si riscontrino diverse posizioni da parte dei commentatori, alcuni dei quali sostengono che stiamo assistendo ad un cambiamento qualitativo nei processi d’automazione ad esito del quale il bilanciamento tra l’effetto di sostituzione e quello di capitalizzazione potrebbe andare a scapito del secondo.

 

L’ultimo step del processo di specializzazione è quello rappresentato da diplomati e laureati che formano la classe dirigente. Proprio i dirigenti, secondo Drucker, sarebbero aumentati costantemente di numero e si sarebbero occupati di una nuova, essenziale funzione: quella di formare i lavoratori e farli specializzare.

 

Drucker sembra affermare che i knowledge worker, ovvero i lavoratori il cui principale valore aggiunto è la conoscenza, non sostituiranno totalmente la manodopera ma prenderanno il posto solo di quella non specializzata. Questo aspetto trova conferma anche nell’epoca della quarta rivoluzione industriale, quella dei macchinari che acquisiscono input non formali e che imparano da questi: la presenza dell’uomo rimane sempre necessaria. Questa situazione si basa su un rapporto uomo-macchina molto diverso da quello del passato: mentre nell’Ottocento si parlava di alienazione dell’uomo, ora si parla di collaborazione uomo-macchina.

 

L’analisi economica dell’introduzione dei macchinari nell’impresa ha portato Drucker a sostenere che i grandi investimenti economici e finanziari che avrebbero dovuto affrontare gli imprenditori avrebbero provocato l’ingessamento della struttura aziendale. Secondo Drucker questa immobilità, che si configura in un investimento a lungo termine, si trasferisce anche nella gestione della forza lavoro rendendo più stabili le prestazioni lavorative. Oggi l’opinione comune è diametralmente opposta, infatti molti ritengono che le carriere si comporranno di diversi rapporti di breve termine piuttosto che di un’unica collaborazione pluriennale.

 

La posizione sostenuta da Drucker nel 1955 si è rivelata errata, non potendo l’autore ai tempi prevedere la velocità del progresso dopo la terza rivoluzione industriale e lo sviluppo di capacità di apprendimento dei macchinari.

 

La poca flessibilità dell’azienda derivava, secondo Drucker, dalla rigidità apportata dai macchinari che negli anni Cinquanta erano in grado di svolgere una sola, semplice operazione. Oggi essi sono tanto flessibili da poter addirittura “imparare” a svolgere nuove mansioni e questo permette all’impresa, pur entro certi limiti, di avere un buon margine di cambiamento.

 

La velocità del progresso dopo la seconda e soprattutto dopo la terza rivoluzione industriale è aumentata oltre ogni previsione incidendo sulla validità della maggior parte delle teorie precedenti a questi avvenimenti.

La continua variazione dei bisogni propria dell’era del consumismo porta necessariamente ad una struttura aziendale più fluida e ciò si riversa in tutti i fattori produttivi compreso il fattore lavoro. Il bisogno delle imprese di essere più flessibili possibile ha reso, nella pratica, i contratti di lavoro più brevi tanto che ormai è divenuta opinione comune quella per cui una carriera non sarà più solo formata da un solo rapporto lavorativo ultradecennale ma da diverse collaborazioni di breve durata.

 

A distanza di sessant’anni, nelle parole del Drucker del 1955 si può notare un’analisi orientata verso un futuro statico. L’evoluzione della forza lavoro è vista come un grande e progressivo cambiamento che tuttavia trova una sua stabilità, anche se in un assetto completamente diverso. Ciò deriva dal fatto che l’articolo è stato redatto ben prima della terza rivoluzione industriale. Dopo il processo di informatizzazione è impossibile parlare di staticità soprattutto in ambito economico poiché il settore informatico ha portato in ogni ambito la possibilità di sviluppare processi automatizzati sempre più efficienti ed in continuo aggiornamento.

 

Le recenti dinamiche dell’automazione e, in generale, del progresso tecnologico pongono per tutti gli attori del mondo produttivo importanti sfide che presentano alcuni tratti di continuità con quelle del passato, ma anche alcuni profili di innovatività. Lo studio e l’approfondimento di queste tematiche si rende, quindi, imprescindibile per poter essere attori e non meri spettatori del cambiamento.

 

 

Gaetano Machì

Studente di giurisprudenza, Università degli Studi di Milano

@Gae95

 

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